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IL TESTO E IL PROBLEMA
La Divina Commedia

UNITÀ C
La letteratura religiosa

UNITÀ E
Il Dolce Stil Novo

UNITÀ F
La poesia comico-realistica


ANTONINO SCIOTTO
Ideologie e metodi storici


Queste parole sono state pronunciate da Piero Calamandrei in un discorso del 1950. Le riproponiamo a insegnanti e studenti per la loro impressionante attualità.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito.

Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.

Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950


Dante Alighieri
Vita nuova cap. XXIII
La erronea fantasia
G11a

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[Vita nuova, cap. XXIII] 1. Appresso ciò per pochi dì1 avvenne che in alcuna parte de la mia persona mi giunse una dolorosa infermitade2, onde io continuamente soffersi per nove dì3 amarissima pena; la quale mi condusse a tanta debolezza, che me convenia4 stare come coloro li quali non si possono muovere. 2. Io dico che ne lo nono giorno, sentendome dolere quasi intollerabilemente, a me giunse uno pensero lo quale era de la mia donna5. 3. E quando ei pensato alquanto di lei, ed io ritornai pensando a la mia debilitata vita6; e veggendo come leggiero era lo suo durare, ancora che sana fosse7, sì8 cominciai a piangere fra me stesso di tanta miseria9. 4. Onde, sospirando forte, dicea fra me medesimo: «Di necessitade convene10 che la gentilissima Beatrice alcuna volta si muoia11». 5. E però12 mi giunse uno sì forte smarrimento, che chiusi li occhi e cominciai a travagliare sì come farnetica persona13 ed a imaginare in questo modo14: che ne lo incominciamento de lo errare che fece la mia fantasia15, apparvero a me certi visi di donne scapigliate16, che mi diceano: «Tu pur17 morrai»; e poi, dopo queste donne, m’apparvero certi visi diversi18 e orribili a vedere, li quali mi diceano: «Tu se’ morto19». 6. Così cominciando ad errare la mia fantasia, venni a quello ch’io non sapea ove io mi fosse20; e vedere mi parea donne andare scapigliate piangendo per via21, maravigliosamente triste22; e pareami vedere lo sole oscurare, sì che le stelle si mostravano di colore ch’elle mi faceano giudicare che piangessero23; e pareami che li uccelli volando per l’aria cadessero morti24, e che fossero25 grandissimi tremuoti26. 7. E maravigliandomi in cotale fantasia, e paventando assai27, imaginai alcuno28 amico che mi venisse a dire: «Or non sai? la tua mirabile donna è partita di questo secolo29». 8. Allora cominciai a piangere molto pietosamente30; e non solamente piangea ne la imaginazione, ma piangea con li occhi, bagnandoli di vere lagrime. 9. Io imaginava di guardare verso lo cielo, e pareami vedere moltitudine d’angeli li quali tornassero in suso31, ed aveano dinanzi da loro una nebuletta bianchissima32. 10. A me parea che questi angeli cantassero gloriosamente, e le parole del loro canto mi parea udire che fossero queste: «Osanna in excelsis»33; e altro non mi parea udire. 11. Allora mi parea che lo cuore, ove era tanto amore, mi dicesse: «Vero è che morta giace la nostra donna34». 12. E per questo mi parea andare per vedere lo corpo ne lo quale era stata quella nobilissima e beata anima; e fue sì forte la erronea fantasia35, che mi mostrò questa donna morta: e pareami che donne la covrissero, cioè la sua testa36, con uno bianco velo; e pareami che la sua faccia avesse tanto aspetto d’umilitade37, che parea che dicesse: «Io sono a vedere lo principio de la pace»38. 13. In questa imaginazione mi giunse tanta umilitade per vedere lei39, che io chiamava40 la Morte, e dicea: «Dolcissima Morte41, vieni a me, e non m’essere villana, però che tu dei essere gentile, in tal parte se’ stata42! Or vieni a me, che molto ti disidero; e tu lo vedi, ché io porto già lo tuo colore»43. 14. E quando io avea veduto compiere tutti li dolorosi mestieri che a le corpora de li morti s’usano di fare44, mi parea tornare ne la mia camera, e quivi mi parea guardare verso lo cielo; e sì forte era la mia imaginazione, che piangendo incominciai a dire con verace voce45: «Oi anima bellissima, come46 è beato colui che ti vede!». 15. E dicendo io queste parole con doloroso singulto di pianto, e chiamando la Morte che venisse a me47, una donna giovane e gentile, la quale era lungo48 lo mio letto, credendo che lo mio piangere e le mie parole fossero solamente per lo dolore de la mia infermitade, con grande paura cominciò a piangere49. 16. Onde altre donne che per la camera erano s’accorsero di me, che io piangea, per lo pianto che vedeano fare a questa50; onde faccendo lei partire da me, la quale era meco di propinquissima sanguinitade congiunta, elle si trassero verso me per isvegliarmi, credendo che io sognasse51, e diceanmi: «Non dormire più», e «Non ti sconfortare». 17. E parlandomi così52, sì53 mi cessò la forte fantasia entro in quello punto ch’io volea dicere54: «O Beatrice, benedetta sie tu»; e già detto avea «O Beatrice», quando riscotendomi55 apersi li occhi, e vidi che io era ingannato56. 18. E con tutto che io chiamasse questo nome, la mia voce era sì rotta dal singulto del piangere, che queste donne non mi pottero intendere57, secondo il mio parere; e avvegna che io vergognasse molto, tuttavia per alcuno ammonimento d’Amore mi rivolsi a loro58. 19. E quando mi videro, cominciaro59 a dire: «Questi pare morto», e a dire tra loro: «Proccuriamo di confortarlo»; onde molte parole mi diceano da confortarmi60, e talora mi domandavano di che io avesse avuto paura. 20. Onde io, essendo alquanto riconfortato, e conosciuto lo fallace imaginare61, rispuosi a loro: «Io vi diroe62 quello ch’i’ hoe63 avuto». 21. Allora, cominciandomi dal principio infino a la fine, dissi loro quello che veduto avea, tacendo lo nome di questa gentilissima64. 22. Onde poi, sanato di questa infermitade, propuosi di dire parole di questo che m’era addivenuto, però che mi parea che fosse amorosa cosa da udire65; e però66 ne dissi questa canzone: Donna pietosa e di novella etate, ordinata sì come manifesta la infrascritta divisione67.



1 Appresso… dì: Pochi giorni dopo questo fatto (ciò): nel capitolo precedente è stata narrata la morte del padre di Beatrice, che ha reso la donna «amarissimamente piena di dolore».

2 in alcuna… infermitade: in una (alcuna) parte del mio corpo (persona) mi venne una dolorosa malattia (infermitade). Non si precisa in cosa esattamente consista la malattia, coerentemente con la tendenza, tipica della Vita nuova, a omettere e sfumare tutti i particolari concreti.

3 per nove dì: consueto riferimento al simbolismo del numero nove.

4 me convenia: mi era necessario.

5 lo quale… donna: il quale si riferiva alla (era della) mia donna.

6 E quando… vita: E quando ebbi (ei) pensato per un po’ (alquanto) a (di) lei, io tornai a pensare (ritornai pensando) alla mia vita indebolita (debilitata) <dalla malattia>. La congiunzione «ed» sembra coordinare la proposizione temporale («quando ei pensato…») con la principale («io ritornai pensando…»), cui in realtà la temporale è subordinata. Questa costruzione sintattica, che incrocia la coordinazione (paratassi) con la subordinazione (ipotassi), è detta paraipotassi.

7 e veggendo… fosse: e vedendo come era effimera la sua durata (come leggiero era lo suo durare), anche quando <la vita> era sana (ancora che sana fosse). La riflessione sulla brevità della vita prende spunto dalla malattia, ma non si esaurisce in essa: la vita è breve in sé, indipendentemente dallo stato di salute.

8 sì: altra congiunzione paraipotattica (cfr. nota 6): la principale («cominciai a piangere) viene introdotta come se fosse una consecutiva. La proposizione subordinata è in realtà quella che precede («veggendo come leggiero era lo suo durare»; si tratta di una causale).

9 miseria: infelicità.

10 Di necessitade convene: È necessario.

11 alcuna volta si muoia: prima o poi muoia. Il pronome personale riflessivo «si» ha valore di dativo etico: si tratta di una forma di complemento di termine che indica la persona interessata dall’azione espressa dal verbo.

12 però: perciò.

13 cominciai… persona: cominciai a delirare (travagliare) come (sì come) una persona farneticante (farnetica).

14 in questo modo: nel modo che segue (prolessi).

15 che… fantasia: che (congiunzione dichiarativa, dipendente dal precedente «imaginare») all’inizio del delirio (ne lo incominciamento de lo errare) che fu creato dalla mia fantasia.

16 scapigliate: con i capelli scompigliati.

17 pur: certamente.

18 diversi: mostruosi.

19 li quali… morto: il soggetto della relativa «li quali mi diceano» – e quindi del verbo “dire” – è «visi» e non, come sarebbe più logico, «donne»; quest’espediente, che può essere considerato una sineddoche, conferisce particolare evidenza al dettaglio dei visi, peraltro qualificati con aggettivi a forte connotazione emotiva («diversi e orribili a vedere»). Per questo genere di rappresentazione ci sembra lecito parlare di “espressionismo”. Questo termine, che propriamente si riferisce a correnti letterarie novecentesche, viene sovente utilizzato con riferimento alla poesia del Duecento (per esempio a Jacopone da Todi). Si designa, in senso lato, come “espressionista” una forma di rappresentazione artistica lontana dall’equilibrio, incline alla “deformazione” o all’esasperazione dei contrasti. Una delle caratteristiche dell’espressionismo è l’isolamento dei particolari dal contesto cui appartengono, con un effetto che viene definito “perturbante”.

20 Così… fosse: Poiché la mia fantasia cominciò (cominciando, causale implicita espressa con il gerundio) a delirare (errare) così, giunsi al punto (venni a quello) di non sapere dove mi trovassi (ove io mi fosse).

21 per via: per la strada.

22 maravigliosamente triste: straordinariamente tristi (triste è femminile plurale, concordato con «donne»).

23 sì che… piangeano: in modo che le stelle mi si mostravano di colore tale da farmi credere (giudicare) che piangessero. Il colore delle stelle potrebbe essere il nero (colore del lutto) o il rosso (colore degli occhi di chi piange); ma potrebbe anche trattarsi di un colore pallido, dovuto a perdita di luminosità. L’oscuramento del sole ha un evidente significato simbolico e ricalca il racconto dei Vangeli sulla morte di Cristo (cfr. Matteo, XXVII, 51-53; Luca, XXIII, 44); il testo richiama da vicino anche Apocalisse, VI, 12-14.

24 e parea… morti: alcuni commentatori ritengono che questa immagine, che non ha diretti precedenti nelle Scritture, nasca dall’incrocio tra Matteo, XXIV, 29 («stellae cadent de caelo» [«le stelle cadranno dal cielo»]) e Geremia, IV, 25 («omne volatile caeli recessit» [«tutti gli uccelli dell’aria erano volati via»].

25 e che fossero: e che ci fossero.

26 tremuoti: il terremoto è un altro dei segni che nei Vangeli accompagnano la morte di Cristo.

27 E maravigliandomi… assai: E meravigliandomi in preda a (in) tale allucinazione (cotale fantasia), e avendo molta paura (paventando assai).

28 alcuno: un.

29 partita di questo secolo: si è allontanata da questo mondo (secolo), ossia è morta.

30 molto pietosamente: in modo da ispirare molta pietà.

31 tornassero in suso: risalissero verso l’alto (suso, dal latino sursum).

32 nebuletta bianchissima: nuvoletta bianchissima. L’aggettivo “bianchissimo” è lo stesso che designava il colore delle vesti indossate da Beatrice al momento della sua seconda apparizione [G3a]. La nuvoletta rappresenta probabilmente l’anima di Beatrice.

33 Osanna in excelsis: Gloria nell’alto dei cieli. È il saluto rivolto a Cristo dalla folla al suo ingresso a Gerusalemme (Matteo, XXI, 9; Marco, XI, 10). Qui gli angeli pronunciano queste parole con riferimento a Beatrice, sottolineandone dunque l’identificazione simbolica con Cristo.

34 Vero… donna: È vero che la nostra donna giace morta. La drammaticità dell’enunciato è sottolineata dall’elevato numero di anastrofi concentrate in pochissime parole: «vero è» (anziché «è vero»); «morta giace» (anziché «giace morta»); il soggetto della dichiarativa («la nostra donna») posposto al verbo.

35 e fue… fantasia: e fu così forte la ingannevole (erronea) immaginazione. Da notare l’allitterazione ffue» - «forte» - «fantasia»).

36 la covrissero… testa: coprissero lei, o per meglio dire (cioè) la sua testa.

37 umilitade: mansuetudine, completa accettazione della volontà di Dio.

38 Io sono… pace: Io mi trovo di fronte al (sono a vedere lo) principio della pace (Dio).

39 mi giunse… lei: fui colto da una tale completa mansuetudine (umiltade), grazie al fatto che avevo visto lei (per vedere lei, con significato causale). L’effetto beatificante della visione di Beatrice perdura anche dopo la morte.

40 chiamava: invocavo.

41 Dolcissima Morte: l’invocazione sembra ricalcare le parole di S. Francesco («Soror mea dulcissima mors»), come la riferisce Tommaso da Celano nella Legenda secunda.

42 e non m’essere… stata: non essere con me crudele (villana), poiché tu devi <ormai> essere gentile, <dato che> sei stata in un luogo simile (in tal parte, cioè presso Beatrice). Beatrice insomma appare in grado di nobilitare perfino la morte: si tratta di un’iperbole.

43 lo tuo colore: il colore della morte, cui il discorso è rivolto; Dante è infatti pallido a causa della sua malattia.

44 tutti li dolorosi… di fare: tutti gli uffici (mestieri, dal provenzale mestiers) funebri (dolorosi) che si usa (s’usano, costruzione personale concordata con «mestieri») fare ai corpi (corpora, latinismo) dei morti.

45 con verace voce: ad alta voce, cioè non solo in sogno. Si noti l’allitterazione (quasi una paronomasia): verace voce.

46 come: quanto, avverbio esclamativo.

47 E dicendo… a me: E mentre io dicevo (dicendo io) queste parole con doloroso singhiozzo (singulto) di pianto, e mentre invocavo (chiamando) la Morte affinché venisse a me.

48 lungo: presso.

49 cominciò a piangere: il pianto di Dante, dovuto al delirio, viene interpretato come un segno di sofferenza fisica dalla donna che lo assiste. Si passa così dall’allucinazione alla realtà.

50 Onde altre donne… a questa: Per cui altre donne che erano nella camera si accorsero del fatto che io piangevo, a causa del fatto che vedevano piangere questa donna.

51 onde faccendo… sognasse: per cui, facendo allontanare (partire) da me lei, che era legata (congiunta) a me da strettissima parentela (propinquissima sanguinitade), esse si portarono (trassero) a me per svegliarmi, credendo che io sognassi.

52 E parlandomi così: E mentre esse mi parlavano così; il gerundio, come spesso nell’italiano del Duecento, è usato anche se la subordinata ha soggetto diverso da quello della reggente.

53 sì: congiunzione paraipotattica (cfr. nota 6).

54 entro… dicere: proprio in quel momento (punto) in cui io volevo dire (dicere, latinismo).

55 riscotendomi: risvegliandomi.

56 e vidi… ingannato: e mi accorsi che mi ero ingannato; Dante si rende conto di avere avuto un’allucinazione.

57 E con tutto… intendere: E sebbene (con tutto che) io invocassi questo nome (cioè quello di Beatrice), la mia voce era talmente rotta dal singhiozzo (singulto) causato dal pianto, che queste donne non poterono (pottero) comprendermi.

58 E avvegna… a loro: E sebbene (avvegna che) io mi vergognassi molto, tuttavia, per un (alcuno) suggerimento (ammonimento) di Amore mi rivolsi ad esse.

59 cominciaro: cominciarono.

60 da confortarmi: tali da confortarmi; la preposizione «da» ha valore consecutivo.

61 conosciuto… imaginare: resomi conto (conosciuto) dell’ingannevole (fallace) immaginazione (imaginare, infinito sostantivato).

62 diroe: dirò, forma del futuro con epitesi.

63 hoe: ho, altra forma con epitesi.

64 tacendo… gentilissima: Dante narra la sua allucinazione, ma non rivela il nome di Beatrice.

65 Onde… udire: Perciò, guarito da questa malattia, decisi di scrivere una poesia su quanto mi era accaduto, poiché mi sembrava che fosse un tema amoroso degno di essere ascoltato (amorosa cosa da udire).

66 però: perciò

67 infrascritta: riportata sotto. Anche in questo caso, abbiamo omesso di riportare la “divisione” posta alla fine della canzone.


Il rapporto con la poesia
Questa prosa ha un rapporto strettissimo con la canzone che segue [G11b]: entrambe narrano la stessa vicenda, un delirio del poeta-amante, durante il quale egli sogna la morte di Beatrice. La prospettiva del poeta-amante e quella del narratore consapevole tendono a coincidere: anche per il poeta-amante infatti, dopo la svolta rappresentata da Donne ch’avete intelletto d’amore [G8b], l’amore per Beatrice ha tratti simili all’amore mistico dell’anima per Dio; Dante è ormai consapevole della natura angelica della donna e dei miracoli che essa opera [G10].
Quasi ogni periodo della prosa (composta, lo ricordiamo, in un momento successivo rispetto alla poesia) trova un preciso riscontro nei versi della canzone, come si vedrà nell’annotazione di quest’ultima. Ma la prosa rispetta rigorosamente l’ordine cronologico degli eventi; la poesia invece li presenta in un ordine differente.

Tra sogno e realtà
La narrazione è caratterizzata dall’insistenza sul carattere allucinatorio delle immagini che si presentano alla vista di Dante. Assai numerose sono le occorrenze del verbo «parere», quasi sempre accompagnato dal pronome personale «mi», che conferisce alla visione una dimensione puramente soggettiva. La natura ingannevole di questa «imaginazione» (o «fantasia») è anticipata all’inizio del capitolo dai riferimenti alla malattia e al delirio («cominciai a travagliare sì come farnetica persona» [5]); è poi sottolineata dal ricorrere del verbo «errare» («lo errare che fece la mia fantasia» [5], «cominciando ad errare la mia fantasia» [6]) e dell’aggettivo da esso derivato («la erronea fantasia» [12]); ed è confermata esplicitamente al momento del risveglio («apersi li occhi, e vidi che io era ingannato» [17]).
Tuttavia tra sogno e realtà il confine è labile: lo «smarrimento» che coglie Dante [5] prende infatti spunto da una razionale e lucida riflessione sulla fugacità della vita [3, 4]; più tardi, nel momento in cui sogna la morte di Beatrice, Dante non solo immagina di piangere, ma piange «vere lagrime» [8]; se all’inizio del suo sogno Dante perde la cognizione dello spazio («venni a quello ch’io non sapea ove io mi fosse» [6]), alla fine sogna di essere – come in effetti è – nella sua camera e qui parla con «verace voce» [14] inducendo le donne a svegliarlo. Le immagini del sogno (in cui, come subito vedremo, si intrecciano in instabile equilibrio elementi dolorosi con altri rasserenanti) anticipano del resto un evento luttuoso che turberà profondamente l’esistenza del poeta-amante.
Il sogno di Dante occupa la parte centrale del capitolo [5-17]. Può essere utile dividerla in quattro sequenze; esse si differenziano sia per i temi trattati, sia per quelle che, con metafora cinematografica, potremmo chiamare “inquadrature”.

Prima sequenza: presagi della morte di Dante
Nella prima sequenza [5] Dante ha conoscenza solo indiretta degli eventi spaventosi su cui il sogno si incentra: alcune donne «scapigliate» gli ripetono che egli deve morire; altri visi «diversi e orribili a vedere» gli annunciano poi che è già morto. In questa sequenza non si ha rappresentazione di eventi o scene: si succedono brevi battute di discorso diretto alternate a “primi piani” sui volti dei vari “nunzi” che si rivolgono a Dante. I presagi, in questa prima sequenza, riguardano tutti la morte di Dante. Notevole è il fatto che a parlare non siano le persone che egli vede in sogno, ma propriamente i loro volti («m’apparvero certi visi diversi e orribili a vedere, li quali mi diceano»). Questa accentuazione del dettaglio, reso particolarmente perturbante dalle caratteristiche spettrali dei volti, conferisce alla prosa un tono fortemente “espressionistico” (cfr. nota 18).

Seconda sequenza: presagi della morte di Beatrice
Nella seconda sequenza [6-7] Dante continua ad avere degli eventi una conoscenza solo indiretta. Ai primi piani si sostituiscono qui le inquadrature in “campo lungo”; l’oggetto dei presagi è intanto mutato: non più la morte di Dante, ma quella di Beatrice. Sono ancora le donne «scapigliate» ad aprire la sequenza, con effetto di fluida transizione con la precedente. Esse però non parlano, ma vanno «piangendo per via» (immagine che impone un allargamento del campo visuale). Da qui l’inquadratura si allarga ancora e si sposta sui prodigi che accompagnano l’evento luttuoso: il sole si oscura, le stelle diventano di un colore che richiama il pianto, gli uccelli cadono a terra, si verificano terribili terremoti. Sono tutte immagini che richiamano il racconto evangelico della morte di Cristo (ma sono presenti anche richiami alle immagini della fine del mondo contenute nell’Apocalisse). Infine un amico, ridotto a voce “fuori campo” (di lui non vediamo infatti alcuna raffigurazione, mentre nella canzone egli ha ancora un aspetto, sia pure evanescente [G11b, v. 54]), informa Dante della causa di questi prodigi, che egli stesso aveva del resto presentito «paventando assai»: è morta la sua donna, Beatrice.
Questa sequenza mantiene il tono espressionistico della precedente attraverso l’insistenza su immagini dalle tinte fosche e la forte accentuazione dei contrasti: si pensi all’oscuramento del sole e al mutato colore delle stelle, peraltro deformate fin quasi all’antropomorfizzazione («si mostravano di colore ch’elle mi faceano giudicare che piangessero»). Il fatto più rilevante è però che i segni della morte di Beatrice coincidano con quelli che nei Vangeli accompagnano la morte di Cristo. L’accostamento sottolinea ancora una volta la natura straordinaria e miracolosa della donna.

Terza sequenza: ascesa al cielo di santa Beatrice
Dopo un breve intermezzo che avverte come il pianto di Dante non sia stato solo immaginario [8], la terza sequenza [9-10] ci presenta una diversa inquadratura. Agli opposti del “primo piano” (prima sequenza) e del “campo lungo” (seconda sequenza) si sostituisce una distanza media, ideale per osservare nella sua interezza una scena che ha il tono agiografico e le tinte tenui di una pala d’altare. Stavolta non si vedono nunzi o presagi, ma l’anima di Beatrice (rappresentata da una «nebuletta bianchissima», ossia dello stesso colore della veste indossata dalla donna al momento della sua seconda apparizione [G3a]) che ascende al cielo, preceduta da angeli che intonano «Osanna». La raffigurazione dell’anima di Beatrice in una gloriosa cornice di santità è perfettamente coerente con l’impianto della Vita nuova; ma nonostante questo il racconto non è destinato a concludersi subito sul tono rasserenato dell’agiografia.

Quarta sequenza: tra «umiltade» e dolore
L’ultima sequenza [11-15] si apre infatti con le parole di un altro nunzio, stavolta tutto interiore (è il cuore di Dante, dunque Amore) il quale – con una battuta cui l’anastrofe conferisce una particolare drammaticità: «Vero è che morta giace la nostra donna» – richiama aspramente, subito dopo la consolante visione dell’ascesa al cielo, il senso della perdita da cui il sogno ha origine. Le tinte della beatitudine celeste si intrecciano qui con quelle del lutto, come dimostra tra l’altro la ossimorica invocazione, di sapore francescano, alla «dolcissima morte». La «umiltade» cui Dante è pervenuto dopo la visione di Beatrice morta [13] non comporta infatti l’annullamento del dolore, come confermano i riferimenti ai «dolorosi mestieri che a le corpora de li morti s’usano di fare» e al «doloroso singulto di pianto» [15] che accompagna – e rende per gli altri incomprensibili – le parole di lode che Dante pronuncia ad alta voce. Nella rappresentazione di Beatrice morta Dante insiste sul particolare del volto, dapprima specificando (con un’aggiunta, rispetto alla canzone, che non può essere casuale) che il «bianco velo» non copre tutto il corpo, ma «la sua testa»; e poi inquadrando in “primo piano” la «faccia» nella quale è dipinto «tanto aspetto d’umiltade». Quest’ultima inquadratura sembra richiamare quelle della prima sequenza: se da un lato è fortissimo il contrasto tra l’«aspetto d’umiltade» e lo squallore delle donne «scapigliate», dall’altro la circolarità istituita da questo ritorno del “primo piano” sottolinea ulteriormente il fatto che la morte di Beatrice – che in questo capitolo, lo ricordiamo, non è ancora un evento reale – non può per Dante risolversi, secondo un astratto processo lineare, in una serena e immediata accettazione della volontà di Dio. Il contrasto tra senso della perdita ed esaltazione agiografica rimane, almeno per il momento, irrisolto. È vero che gli ultimi periodi, concernenti il risveglio, sembrano allontanare l’angoscia della visione. Ma i capitoli successivi dimostreranno che il dolore della perdita è destinato ad aprire una nuova crisi. Il narratore consapevole sa bene che, quando Beatrice morirà, la sua scomparsa determinerà nell’esistenza del poeta-amante un turbamento profondo, cui farà seguito un traviamento morale. Il poeta-amante, insomma, ha certamente maturato una più elevata forma di amore per la sua donna rispetto a quella dei primi capitoli; ma non ha ancora percorso tutti i gradi che trasportano quest’amore in una dimensione del tutto superiore al mondo terreno.