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3/10/10

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IL TESTO E IL PROBLEMA
La Divina Commedia

UNITÀ C
La letteratura religiosa

UNITÀ E
Il Dolce Stil Novo

UNITÀ F
La poesia comico-realistica


ANTONINO SCIOTTO
Ideologie e metodi storici


Queste parole sono state pronunciate da Piero Calamandrei in un discorso del 1950. Le riproponiamo a insegnanti e studenti per la loro impressionante attualità.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito.

Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.

Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950


Folgòre da San Gimignano
Cortesia cortesia cortesia chiamo
F8

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Cortesia cortesia cortesia chiamo
e da nessuna parte mi risponde,
e chi la dèe mostrar, sì la nasconde,
e perciò a cui bisogna vive gramo1.

Avarizia le genti ha preso all’amo,
ed ogni grazia distrugge e confonde;
però se eo mi doglio, eo so ben onde:
di voi, possenti, a Dio me ne richiamo2.

Ché la mia madre cortesia avete
messa sì sotto il piè che non si leva;
l’aver ci sta, voi non ci rimanete3!

Tutti siem nati di Adamo e di Eva;
potendo, non donate e non spendete:
mal ha natura chi tai figli alleva4.



1 Cortesia… vive gramo: Grido “generosità, generosità, generosità”, ma <essa> non mi risponde da nessun luogo, e chi dovrebbe farne mostra (la dèe mostrar), invece (, con valore avversativo) la nasconde, e perciò <colui> che ne ha bisogno vive in povertà (gramo).

2 Avarizia… me ne richiamo: L’avarizia ha catturato (preso all’amo, metafora) tutti (le genti), e distrugge e disperde (confonde) ogni nobile sentimento (ogni grazia); perciò (però, con valore causale, dal latino per hoc), se io mi addoloro, io so bene per quale motivo (onde) <lo faccio>: mi lamento presso Dio (me ne richiamo; il pronome «ne» è pleonastico) di voi potenti (possenti).

3 Ché la mia madre… rimanete: Poiché (Ché) avete tanto calpestato (messa sì sotto il piè) la mia madre cortesia, che non può più rialzarsi (non si leva); la ricchezza (l’aver) resta sulla terra (ci significa qui), <ma> voi siete destinati a morire (non ci rimanete).

4 Tutti siem nati… alleva: Siamo tutti figli (nati) di Adamo e di Eva (in altre parole, siamo tutti mortali); pur avendone la possibilità (potendo, con valore concessivo), voi non fate doni e non spendete <le vostre ricchezze>. Ha cattiva natura chi alleva figli simili a voi (tai figli: l’espressione probabilmente vuole bollare i «possenti» come “figli dell’avarizia”, mentre il poeta, al v. 9, si è definito figlio della cortesia).


Livello metrico
Sonetto con rime incrociate nelle quartine e alternate nelle terzine. Lo schema è ABBA, ABBA; CDC, DCD.

Livello lessicale, sintattico e stilistico
Il testo è articolato in quattro periodi, coincidenti con le quattro strofe. Ciascun enunciato tende a disporsi in un singolo verso; c’è solo un enjambement (vv. 9-10). A livello lessicale sono presenti diversi sostantivi astratti («cortesia», «avarizia», «grazia»), come si conviene a un testo di polemica etico-ideologica. Numerose sono le metafore, che nel caso dei due concetti-chiave comportano una sorta di personificazione: la cortesia è designata esplicitamente come madre del poeta (v. 9); e l’avarizia, che risulta essere la madre dei «possenti» da lui deplorati (cfr. nota ), viene ritratta antropomorficamente mentre prende all’amo «le genti». Di particolare efficacia visiva è poi la metafora che rappresenta la virtù calpestata (v. 10). Sul piano delle figure dell’ordine, è notevole la triplice ripetizione del v. 1, che mima l’insistita e vana ricerca dell’antica virtù.

Livello tematico
Il valore della «cortesia», che in questo contesto indica essenzialmente la liberalità (cioè l’uso generoso delle proprie ricchezze, da spendere a beneficio del prossimo bisognoso o per godere, insieme agli altri, di magnifici piaceri e divertimenti), appartiene al mondo feudale-cavalleresco e contrasta con l’etica della pura accumulazione del denaro, propria della mentalità mercantile. L’ascesa della borghesia comunale è uno dei fattori che imprimono la direzione dello sviluppo alla letteratura duecentesca (al di fuori di questo contesto non sarebbe pensabile un testo come Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli [E1]). Ma la poesia italiana pone di solito in secondo piano il tema del denaro, insistendo piuttosto sull’appropriazione, da parte dei gruppi alto-borghesi, dei valori morali ereditati dalla civiltà feudale (la “gentilezza” di cui parla Guinizzelli, appunto). Sono i comici, nell’ambito della letteratura in volgare, a introdurre in forme polemiche e risentite la tematica economica. In Folgòre prevale un atteggiamento moralistico; egli rimpiange i valori cortesi e depreca il trionfante vizio dell’avarizia, non disdegnando in questo sonetto qualche incursione sul terreno della meditazione sulla natura umana (vv. 11-12). Con ben diverso realismo il tema figura nell’opera di Cecco Angiolieri [F4], il cui risentimento non nasce dalla condanna morale per il denaro, ma piuttosto dal desiderio di possederne in quantità maggiore.
L’atteggiamento di Folgòre nei confronti del denaro può considerarsi, in parte, anticipatore di quello di Dante. Ma diversi sono i presupposti che conducono i due poeti alla deplorazione del proprio presente. In Dante la polemica trova il suo nucleo ispiratore fondamentale nella dimensione etico-religiosa, e da essa nasce l’attesa di un profondo rinnovamento del mondo (la polemica di Dante, dunque, si proietta verso il futuro, sia pure in forma utopistica). L’orizzonte di Folgòre resta nel complesso più ristretto: alla base della sua deplorazione per l’esistente è soprattutto il rimpianto per un’epoca al tramonto, il gusto mondano dei piaceri di corte; una mentalità laica e raffinata che troverà la sua espressione lirica nella corona di sonetti dedicati ai mesi [F9].