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IL TESTO E IL PROBLEMA
La Divina Commedia

UNITÀ C
La letteratura religiosa

UNITÀ E
Il Dolce Stil Novo

UNITÀ F
La poesia comico-realistica


ANTONINO SCIOTTO
Ideologie e metodi storici


Queste parole sono state pronunciate da Piero Calamandrei in un discorso del 1950. Le riproponiamo a insegnanti e studenti per la loro impressionante attualità.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito.

Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.

Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950


Giovanni Boccaccio
Ninfale fiesolano ottave 96-115
Africo insegue Mensola
I7

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Qui trova Africo Mensola sua
e priegala; ella fugge e non risponde;
lanciali un dardo, e poi si nasconde
1.

[96] Posto avea fine al suo ragionamento
il vecchio Girafone lagrimando2;
Africo ad ascoltarlo molto attento
istava, bene ogni cosa notando;
e come che alquanto di pavento
avesse per quel dir, pur fermo stando
nella sua oppinione, al padre disse3:
- Deh, non temer cotesto a me venisse4!

[97] Da or innanzi, i’ le lascerò andare,
sed egli avien ch’i’ le truovi più mai5;
andianci dunque, padre, omai a posare6,
ch’i’ sono stanco, sì m’affaticai
oggi per questi monti, per tornare
di dì a casa, che mai non finai
ch’i’ son qui giunto con molta fatica,
sì ch’io ti priego che tu più non dica7. –

[98] Giti8 a dormir, non fu sì tosto il giorno
ch’Africo si levava prestamente
e negli usati poggi9 fe’ ritorno,
dove sempre tenea ’l cor e la mente;
sempre mirandosi avanti e dintorno,
se Mensola vedea poneva mente10;
e com piacque ad Amor, giunse ad un varco
dov’ella gli era presso ad un trar d’arco11.

[99] Ella lo vide prima ch’egli lei,
per ch’a fuggir del campo ella prendea12;
Africo la sentì gridar – Omei13
e poi, guardando, fuggir la vedea,
e ’nfra sé disse: «Per certo costei
è Mensola» e poi dietro le correa,
e sì la priega e per nome la chiama,
dicendo: - Aspetta que’ che tanto t’ama14.

[100] Deh, o bella fanciulla, non fuggire
colui che t’ama sopra ogni altra cosa;
io son colui che per te gran martìre
sento, dì e notte, sanz’aver mai posa15;
io non ti seguo per farti morire,
né per far cosa che ti sia gravosa:
ma sol Amor mi ti fa seguitare16,
non nimistà17, né mal ch’i’ voglia fare.

[101] Io non ti seguo come falcon face
la volante pernice cattivella18,
né ancor come fa lupo rapace
la misera e dolente19 pecorella,
ma sì come colei che più mi piace
sopra ogni cosa, e sia quanto vuol bella;
tu se’ la mia speranza e ’l mio disio,
e se tu avessi mal, sì l’are’20 io.

[102] Se tu m’aspetti, Mensola mia bella
i’ t’imprometto e giuro21 sopra i dèi,
ch’io ti terrò per mia sposa novella,
ed amerotti sì come colei
che se’ tutto ’l mio bene, e come quella
c’hai in balia22 tutti i sensi miei;
tu se’ colei che sol mi guidi e reggi,
tu sola la mia vita signoreggi.

[103]
Dunque, perché vuo’ tu, o dispietata,
esser della mia morte la cagione?
Perch’esser vuoi di tanto amor ingrata
verso di me, sanz’averne ragione?
Vuo’tu ch’i’ mora per averti amata,
e ch’io n’abbia di ciò tal guiderdone23?
S’i’ non t’amassi, dunque, che faresti?
So ben che peggio far non mi potresti.

[104] Se tu pur fuggi, tu se’ più crudele
che non è l’orsa quand’ha gli orsacchini24,
e se’ più amara che non è il fiele,
e dura più che sassi marmorini25;
se tu m’aspetti, più dolce che ’l mèle26
sei, o che l’uva ond’esce27 i dolci vini,
e più che ’l sol se’ bella ed avvenente,
morbida e bianca, ed umile e piacente28.

[105] Ma i’ veggio ben che ’l pregar non mi vale,
né parola ch’io dica non ascolti,
e di me servo tuo poco ti cale,
e mai indietro gli occhi non hai volti29;
ma com’egli esce dell’arco lo strale30,
così ten vai per questi boschi folti,
e non ti curi di pruni o di sassi,
che graffian le tue gambe, o di gran massi.

[106] Or poi che di fuggir se’ pur31 disposta
colui che t’ama, secondo ch’i’ veggio,
sanza a’ mie’ prieghi far altra risposta,
e par che per pregar tu facci peggio,
i’ priego Giove che ’l monte e la costa
ispiani tutta, e questa grazia cheggio,
e pianura diventi umile e piana,
ch’al correr non ti sia cotanto strana32.

[107] E priego voi, iddii, che dimorate
per questi boschi e nelle valli ombrose,
che, se cortesi foste mai, or siate33
verso le gambe candide e vezzose
di quella ninfa, e che voi convertiate
alberi e pruni e pietre ed altre cose,
che noia fanno a’ piè morbidi e belli,
in erba minutella e ’n praticelli.

[108] Ed io, per me, omai mi rimarroe34
di più seguirti, e va’ ove ti piace,
e nella mia malora mi staroe
con molte pene, sanz’aver mai pace;
e sanza dubbio al fin ch’ i’ ne morroe35,
ch’ i’ sento ’l cor che già tutto si sface
per te, che ’l tieni in sì ardente foco,
e mancali la vita a poco a poco36. -

[109] La ninfa correa sì velocemente
che parea che volasse, e’ panni alzati
s’avea dinnanzi per più prestamente
poter fuggir, e aveasegli attaccati
alla cintura, sì ch’apertamente,
di sopra a’ calzerin ch’avea calzati,
mostra le gambe e ’l ginocchio vezzoso,
ch’ognun ne diverria desideroso37.

[110] E nella destra mano aveva un dardo,
il qual, quand’ella fu un pezzo fuggita,
si volse indietro con rigido sguardo,
e diventata per paura ardita,
quello lanciò col buon braccio gagliardo38,
per ad Africo dar mortal ferita;
e ben l’arebbe morto39, se non fosse
ch ’n una quercia innanzi a lui percosse.

[111] Quand’ella il dardo per l’aria vedea
zufolando40 volar, e poi nel viso
guardò del suo amante, il qual parea
veracemente fatto in paradiso,
di quel lanciar forte se ne pentea,
e tocca di pietà lo mirò fiso41,
e gridò forte: - Omè, giovane, guarti42,
ch’i’ non potrei omai di questo atarti43! –

[112] Il ferro era quadrato e affusolato
e la forza fu grande, onde si caccia
entro la quercia, e tutt’oltre è passato,
come se dato avesse in una ghiaccia44;
ell’era grossa sì ch’aggavignato45
un uomo non l’arebbe con le braccia;
ella s’aperse, e l’aste oltre passoe,
e più che mezza per forza v’entroe46.

[113] Mensola allor fu lieta di quel tratto47,
che non aveva il giovane ferito,
perché già Amor l’avea del cor tratto
ogni crudel pensiero, e fatto ’nvito48;
non però ch’ella aspettarlo a niun patto
più lo volesse, o pigliasse partito
d’esser con lui, ma lieta sarìa stata
di non esser da lui più seguitata49.

[114] E poi da capo a fuggir cominciava
velocissimamente, poi che vide
che ’l giovinetto pur la seguitava
con ratti passi e con prieghi e con gride;
per ch’ella innanzi a lui si dileguava,
e grotte e balzi passando ricide50,
e ’n sul gran colle del monte pervenne,
dove sicura ancor non vi si tenne51.

[115] Ma di là passa molto tostamente,
dove la piaggia d’alberi era spessa,
e sì di fronde folta, che niente
vi si scorgeva dentro52: per che messa
si fu la ninfa là tacitamente,
e come fosse uccel, così rimessa
nel folto bosco fu, tra verdi fronde
di bei querciuol, che lei cuopre e nasconde53.



1 Qui… nasconde: In questo episodio (Qui) Africo trova la sua Mensola e la prega; ella fugge e non risponde <alla preghiera>; <Mensola> gli lancia un dardo, e poi si nasconde. È questa la didascalia che sintetizza il tema dell’episodio. Ne è protagonista il pastore Africo, innamorato della ninfa Mensola. Nei versi che precedono, il padre di Africo ha cercato di dissuaderlo, ricordandogli come Diana punisca le ninfe che rompono il giuramento di castità e, insieme ad esse, i loro innamorati.

2 Posto… lagrimando: Il vecchio Girafone piangendo aveva posto fine al suo racconto. Girafone, padre di Africo, per indurre il figlio a tenersi lontano da Mensola ha appena raccontato la storia di suo padre, Mugnone, che si era innamorato della ninfa Cialla. I due furono puniti da Diana che li uccise trafiggendoli con la stessa freccia. Dal loro sangue nacquero un fiume e una fonte.

3 e come… disse: e sebbene (come che) avesse un po’ di paura (alquanto di pavento) per quel racconto (dir), pur rimanendo fermo nella sua opinione, disse al padre.

4 Deh… venisse: «Orsù, non temere che questo accada a me». Africo tenta di rassicurare il padre anche se, in cuor suo, non intende certo rinunciare all’amore.

5 Da… mai: D’ora in poi io le lascerò andare, nel caso accadesse (sed egli avien) che io le trovassi un’altra volta (più mai).

6 andianci… posare: andiamoci (andianci) dunque, o padre, a coricare.

7 per tornare… dica: per tornare di giorno () a casa, giammai smisi (finai) <di camminare> finchè (ch’) io sono giunto qui con molta fatica, per cui (sì ch’) io ti prego di non dire più <nulla>.

8 Giti: Andati.

9 usati poggi: colline dove era solito andare.

10 se Mensola… mente: osservava con attenzione (poneva mente) se vedeva Mensola.

11 e com… d’arco: e come piacque ad Amore, giunse in un luogo di passaggio (varco) <tra la vegetazione>, dove ella gli era vicino (gli era presso) alla distanza che può essere percorsa da una freccia (un trar d’arco).

12 Ella… prendea: Ella lo vide prima che egli <vedesse> lei, per cui ella cominciava (prendea) a fuggire dal prato.

13 Omei: «Ahimè».

14 Aspetta… ama: «Aspetta colui che ti ama tanto».

15 io… posa: io sono colui che a causa tua (per te) provo una grande sofferenza, di giorno e di notte, senza aver mai quiete.

16 mi ti fa seguitare: mi induce a seguirti.

17 nimistà: inimicizia. L’episodio qui narrato richiama quello di Apollo e Dafne cantato da Ovidio (Metamorfosi, I, vv. 504-507): «Nympha, precor, Penei, mane! Non insequor hostis; / Nynpha, mane […] Amor mihi est causa sequendi» [«Ninfa figlia di Peneo, ti prego, fermati! Non ti inseguo per inimicizia; / Ninfa, fermati […] Amore è per me motivo di inseguirti]».

18 Io non… cattivella: Io non ti inseguo come il falcone fa <con> la misera (cattivella, latinismo da captivus) pernice che vola (volante). Gli aggettivi che designano gli animali sono tipici della tradizione dei cantari popolari in quanto facilitano la memorizzazione dei versi. Inizia qui una serie di comparazioni che sarà ripresa nelle ottave 104 e 105 e, in seguito, nell’ottava 115.

19 misera e dolente: dittologia sinonimica.

20 are’: avrei.

21 t’imprometto e giuro: dittologia sinonimica.

22 hai in balia: hai in tuo potere.

23 Vuo’… guiderdone: Vuoi tu che io muoia per averti amata, e che io abbia (n’abbia: la particella «n’» è pleonastica) tale ricompensa (guiderdone) di ciò (ossia del mio amore)?

24 Se… orsacchini: Se dunque tu fuggi, tu sei più crudele di quanto non lo sia (che non è) l’orsa quando ha gli orsacchiotti (orsacchini è forma toscana dialettale). L’orsa, per difendere i suoi piccoli, può infatti agire in modo assai violento.

25 marmorini: di marmo.

26 mèle: miele.

27 ond’esce: da cui si traggono.

28 bella… piacente: accumulazione aggettivale.

29 Ma… volti: Ma io capisco bene che le mie preghiere (’l pregar) non mi servono, né tu ascolti le parole che io dico, e di me, che <sono> tuo servo, ti importa (cale) poco, e mai hai voltato indietro il <tuo> sguardo.

30 ma… strale: ma come la freccia (lo strale) esce dall’arco (egli è soggetto pleonastico).

31 pur: a tutti i costi.

32 sanza… strana: senza dare altra risposta alle mie preghiere, e sembra che, per le mie preghiere (per pregar), tu diventi ancor più crudele (facci peggio), io prego Giove che rada al suolo (ispiani) tutta la montagna ed il pendio (costa), e chiedo questa grazia, che (e: la congiunzione sembra introdurre una coordinata, ma il rapporto logico è di subordinazione) la pianura diventi bassa e liscia, <in modo> che non ti sia così ostile (strana) al correre. Dato che Mensola si ostina a fuggire, Africo prega Giove di spianarle la strada.

33 or siate: adesso siate <cortesi>.

34 mi rimarroe: smetterò.

35 e sanza dubbio al fin ch’ i’ ne morroe: e non c’è dubbio che alla fine io ne morrò.

36 ch’i’… poco: perché io sento che il cuore già tutto si disfa (si sface) a causa tua, che lo tieni in un fuoco così ardente, e la vita a poco a poco gli manca (mancali).

37 La ninfa… desideroso: La ninfa correva così velocemente che sembrava che volasse, e per poter fuggire più prestamente aveva (s’avea) alzato la gonna (i panni) sul davanti e l’aveva attaccata alla cintura, così che sopra i calzari (calzerini) che indossava (ch’avea calzati), palesemente (apertamente) mostra le gambe ed il grazioso ginocchio, <in modo> che chiunque ne diventerebbe desideroso.

38 E nella… gagliardo: E nella mano destra aveva una lancia (dardo) e (il qual è pronome relativo, ma rimane sintatticamente sospeso fino al v. 117, dove è ripreso dal pronome dimostrativo «quello»), dopo che ella fu fuggita per un po’(un pezzo), si volse indietro con uno sguardo severo (rigido) e, divenuta coraggiosa per la paura, lo lanciò con buon braccio vigoroso.

39 l’arebbe morto: lo avrebbe ucciso.

40 zufolando: sibilando.

41 di quel… fiso: si pentì di quel lancio così potente (quel lanciar forte), e colpita (tocca) dalla pietà lo guardò fissamente (fiso).

42 guarti: guardati, stai attento.

43 di questo atarti: salvarti da questo <pericolo>. Dopo aver lanciato il dardo Mensola, colpita dalla bellezza di Africo, si pente del suo gesto.

44 Il ferro… ghiaccia: Il dardo (ferro, metonimia) era quadrato ed affusolato e la forza <del lancio> fu grande, per cui <il dardo> si conficca dentro la quercia, e l’ha oltrepassata interamente, come se avesse colpito (dato… in) un blocco di ghiaccio (una ghiaccia).

45 aggavignato: abbracciato.

46 ella… entroe: la quercia (ella) si aprì ed il dardo la oltrepassò e, a forza, vi penetrò per più di metà <della sua lunghezza>.

47 tratto: lancio; il sostantivo è in rima equivoca con il successivo participio «tratto».

48 perché…’nvito: perché Amore già le aveva tolto (tratto) dal cuore ogni pensiero crudele, e l’aveva attirata (fatto ’nvito).

49 non però… seguitata: tuttavia non in modo che essa volesse più aspettarlo per nessuna ragione (a niun patto), o <che> prendesse la decisione (partito) di fermarsi insieme a lui (esser con lui), ma <al contrario> sarebbe stata felice di non essere più seguita.

50 ricide: attraversa.

51 si tenne: si considerò.

52 Ma… dentro: Ma di là passa molto velocemente (tostamente) <in un luogo> dove il pendio (la piaggia) era molto fitto (spessa) di alberi, e così folto di rami che nulla si scorgeva dentro.

53 per che… nasconde: per cui la ninfa si mise là silenziosamente, e come se fosse un uccello, rimase appartata (rimessa… fu) nel folto bosco, tra le verdi fronde di belle querce, che la ricoprono e nascondono.


Livello metrico
Il metro utilizzato è l’ottava, strofa diffusa nei cantari trecenteschi e portata per la prima volta nella letteratura scritta proprio da Boccaccio. Il suo andamento si presta molto bene alla narrazione: la strofa si compone di otto endecasillabi, di cui i primi sei presentano una rima alternata e gli ultimi due una rima baciata. Lo schema è dunque ABABABCC. In questo brano sono presenti numerose assonanze, consonanze e allitterazioni. All’ottava 113 è presente una rima equivoca (tratto : tratto).

Livello lessicale, sintattico, stilistico
Il lessico è semplice e piano, come si addice a un tipo di narrazione che richiama la tradizione orale e popolareggiante dei cantari. I periodi sono paratattici, formati da semplici coordinate. La sintassi ne risulta sveltita e semplificata, il che ben si addice a rappresentare una scena di inseguimento, i cui protagonisti devono parlare mentre corrono. Un notevole rallentamento della narrazione si ha però nel momento in cui Mensola, lanciato il dardo contro Africo, si pente del suo gesto e spera che il colpo vada a vuoto [111]: si può notare come, in questo passo, la sintassi presenti periodi un po’ più complessi.
L’uso degli aggettivi è spesso di facile memorizzazione: gli animali vengono ad esempio designati attraverso le loro qualità a tutti note [100 e seguenti]. Si tende spesso alla ridondanza: Africo articola la sua preghiera [100-108] sulla tecnica della comparazione, amplificando, mediante dei sinonimi, i concetti espressi. accanto alla dittologia, sinonimica e semplice, è da segnalare anche la accumulazione aggettivale [104], che occupa un posto di rilievo in quanto si trova esattamente al centro della preghiera del pastore. Pur nella sua semplicità, il testo non è privo di rimandi colti: evidente quello della preghiera che Apollo rivolge a Dafne nel I libro delle Metamorfosi di Ovidio.
La scelta lessicale avvicina questo testo alla poesia stilnovistica, pur non avendo ovviamente di essa l’impegno filosofico: si pensi all’insistenza sullo sguardo come mezzo attraverso cui l’Amore penetra nel cuore (evidente ad esempio nella serie «guardò» - «parea» - «mirò» - «guarti» [111]).
L’alternanza dei tempi verbali determina frequenti passaggi dall’epico al fiabesco, dall’avventuroso al favoloso: il verbo al passato remoto è infatti spesso seguito da un presente, secondo la tradizione dei cantari.

Livello tematico
Si possono distinguere in quest’episodio tre nuclei tematici: un prologo [96-99]; la preghiera di Africo [100-108]; le vicende di Mensola che, da preda, diventa per un attimo cacciatrice per poi trasformarsi in preda d’Amore [109-115].

Prologo [96-99]
In queste ottave vengono presentati i due protagonisti mitologici del Ninfale fiesolano, Africo e Mensola (si tratta della personificazione di due fiumi toscani). L’elemento mitologico assume però un valore del tutto secondario rispetto alla forte tendenza realistica che caratterizza le ottave. Africo torna a casa dopo una lunga assenza: il padre lo rimprovera e, avendone intuito le ragioni, gli ricorda l’infelice destino del nonno, punito da Diana per avere insidiato la castità di una ninfa. Africo promette di non commettere la stessa imprudenza ma, la mattina successiva, torna nei luoghi dove spera di ritrovare la ninfa amata. Egli agisce infatti secondo la psicologia di un qualunque giovane innamorato.

Preghiera di Africo [100-108]
La preghiera che Africo rivolge alla sua amata è articolata in sequenze ben definite:
1) Africo si rivolge a Mensola palesandole il suo amore [100]. Pur inseguendo la ninfa come un cacciatore fa con la sua preda, il giovane vuole indurla a non sentirsi “cacciata”: ciò che intende fare con lei non sarà infatti cosa «gravosa».
2) Segue una serie di comparazioni prese dal mondo naturale [101, 104]. Africo non è un animale rapace, mentre Mensola è più crudele dell’orsa quando difende gli orsacchiotti, più amara del fiele. Ma, se indulgesse all’amore del pastore, sarebbe più dolce del miele e dell’uva matura, o più bella del sole.
3) Dal momento che l’atteggiamento della ninfa rimane indifferente alle preghiere di Africo [105] il giovane si rivolge a Giove, con tenerezza, chiedendogli che ogni ostacolo sia rimosso dal cammino di Mensola [106]; egli insomma si sottomette alla volontà della sua amata al punto da desiderare il suo allontanamento, se questo può renderla felice. Africo prega poi gli Dei tutti perché proteggano le gambe «candide e vezzose» della bella Mensola e perché erbe sottilissime ammorbidiscano il suo cammino: la natura intera deve dunque divenire protettrice della ninfa [107].
4) La preghiera si conclude con il tradizionale lamento dell’innamorato respinto [108].
In sintesi, la preghiera appare articolata secondo un climax crescente. Africo si rivolge a Mensola, a Giove, a tutti gli Dei, alla natura. Infine si lamenta per il proprio abbandono.

Mensola preda, cacciatrice, preda d’Amore [109-115]
Mensola, al pari di Africo, è giovane ed ingenua, dolce ed indifesa. Di fronte all’insistenza del pastore, fugge a gambe levate [109] e, per accelerare la corsa, solleva la gonna che la impaccia nei movimenti. A questo punto le «gambe e il ginocchio vezzoso» non sono più solo strumenti della fuga: essi si trasformano in mezzi di seduzione.
I ruoli di cacciatore e preda, però, sono intercambiabili. Mensola lancia un dardo – propriamente una lancia o un giavellotto – con l’intento di colpire Africo: a questo punto, spetterebbe a lei il ruolo di cacciatrice. Il sostantivo «dardo» non sembra usato a caso: esso designa, tradizionalmente, l’arma per mezzo della quale Amore ferisce il cuore degli amanti. Il dardo non raggiunge Africo, ma si infrange su una quercia. Ma a questo punto la situazione si capovolge: l’arma che, in senso letterale, avrebbe dovuto ferire Africo ferisce invece – metaforicamente – il cuore di Mensola. La ninfa, pentita del suo gesto, ha già pregato in cuor suo che il colpo andasse a vuoto. Non è più preda del suo inseguitore e non è più nemmeno cacciatrice: è divenuta preda d’Amore.

La dimesione quotidiana della vicenda
Nonostante l’apparato mitologico e il tema tradizionale della caccia amorosa, Africo e Mensola sono due personaggi quotidiani: sono giovani alle prese con i primi tormenti e le prime schermaglie d’amore. La loro psicologia è elementare, consente al lettore una facile identificazione. All’irruenza del pastore fa riscontro la ritrosia della ninfa, che però si colora di involontaria malizia (soprattutto nel momento in cui la giovane scopre le gambe) e si trasforma presto in affetto, sia pur timoroso e ancora diffidente, per il ragazzo. L’attenzione del narratore è tutta concentrata sull’umanità dei suoi personaggi e sulla forza incoercibile della passione d’amore. Questa è descritta con un’attenzione nuova alla concretezza, al particolare anche fisico, che fa dell’amore un’esperienza non solo spirituale, ma capace di investire ogni dimensione dell’essere umano. Questo realismo della rappresentazione dei personaggi anticipa già il Decameron.