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IL TESTO E IL PROBLEMA
La Divina Commedia

UNITÀ C
La letteratura religiosa

UNITÀ E
Il Dolce Stil Novo

UNITÀ F
La poesia comico-realistica


ANTONINO SCIOTTO
Ideologie e metodi storici


Queste parole sono state pronunciate da Piero Calamandrei in un discorso del 1950. Le riproponiamo a insegnanti e studenti per la loro impressionante attualità.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito.

Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.

Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950


Dante Alighieri
De monarchia III, 10
Nullità della donazione di Costantino
G34

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[De monarchia, III, cap. 10] 1. Dicono dunque alcuni che l’imperatore Costantino, guarito dalla lebbra per intercessione di Silvestro che allora era sommo pontefice, abbia donato alla Chiesa la sede dell’Impero, cioè Roma, insieme a molti altri diritti imperiali1. 2. E da questo traggono la conclusione che nessuno, da allora, possa esercitare questi diritti se non ricevendoli dalla Chiesa, cui dicono che essi appartengano; e da questo logicamente discenderebbe il fatto che un’autorità dipende dall’altra2, così come essi3 vogliono.
3. Una volta dunque presentate e confutate le argomentazioni che sembravano avere le radici nelle parole di Dio4, restano ora da presentare e confutare quelle che hanno le loro radici nelle azioni umane e nella ragione umana. La prima di esse è quella che è stata riferita prima, che viene così espressa in un forma sillogistica5: “nessuno può avere di diritto le cose che sono della Chiesa se non le riceve dalla Chiesa”6 – e questo bisogna ammetterlo –; “il governo di Roma è della Chiesa7: dunque nessuno può avere di diritto tale governo se non lo riceve dalla Chiesa8”; e la premessa minore viene dimostrata attraverso quegli atti di Costantino cui abbiamo sopra fatto riferimento9. 4. Io dunque confuto la premessa minore10 e, quando essi la dimostrano, dico che la sua dimostrazione è inefficace, poiché Costantino non avrebbe potuto cedere i diritti sull’Impero, né la Chiesa riceverli11. 5. E dato che pervicacemente insistono, ciò che dico può essere dimostrato così12: a nessuno è lecito, nell’adempimento dell’ufficio che gli è assegnato, compiere atti che contrastano con quell’ufficio; poiché, se così fosse, un ufficio, in quanto tale, sarebbe contrario a se stesso, il che è impossibile13; ma scindere l’Impero è un atto contrario all’ufficio assegnato all’imperatore14, poiché il suo ufficio è tenere soggetto il genere umano a un’unica volontà e a un’unica non volontà, come si può vedere con facilità dal primo libro di questo trattato15; perciò non è lecito all’imperatore dividere l’Impero16. 6. Se dunque alcuni diritti, per opera di Costantino, fossero stati sottratti – come dicono – all’Impero, e fossero finiti in potere della Chiesa, sarebbe stata divisa la tunica inconsutile17, che non osarono dividere nemmeno coloro che trafissero con la lancia il Cristo, vero Dio18. 7. Inoltre, come la Chiesa ha un suo fondamento, così anche l’Impero ha il suo19. Infatti il fondamento della Chiesa è Cristo; per cui l’Apostolo20 scrive ai Corinzi: “Nessuno può porre altro fondamento oltre a quello che è stato posto, il quale è Cristo Gesù”21. Egli è la pietra sopra la quale è stata edificata la Chiesa. Invece, il fondamento dell’Impero è il diritto umano22. 8. Così dico che, come non è lecito alla Chiesa andare contro il proprio fondamento, ma essa deve sempre appoggiarsi su di esso – secondo quelle parole del Cantico dei Cantici: “Chi è costei che sale dal deserto, abbondante di delizie, appoggiata al suo diletto?”23 –, così anche all’Impero non è lecito fare alcunché contro il diritto umano24. Ma sarebbe cosa contraria al diritto umano, se l’Impero distruggesse se stesso25: dunque all’Impero non è lecito distruggere se stesso26. 9. Poiché dunque dividere l’Impero significherebbe distruggerlo27, in quanto l’Impero consiste nell’unità della Monarchia universale28, è manifesto che a colui che esercita l’autorità imperiale non è lecito dividere l’Impero29. E il fatto che distruggere l’Impero sia contrario al diritto umano, è chiaro dalle cose dette prima30.
10. Inoltre, ogni giurisdizione viene prima del suo giudice31; il giudice infatti viene ordinato in funzione della giurisdizione, e non viceversa; ma l’Impero è la giurisdizione che comprende nel suo ambito ogni giurisdizione temporale; perciò essa viene prima del suo giudice, che è l’imperatore, poiché l’imperatore è stato ordinato in funzione di essa, e non viceversa32. Da ciò è evidente che l’imperatore non può trasferire la giurisdizione proprio in quanto è imperatore, poiché in ragione di tale giurisdizione egli è quel che è33. 11. E dunque affermo questo: o Costantino, quando si dice che abbia fatto la donazione alla Chiesa, era imperatore, oppure non lo era; se non lo era, è chiaro che non poteva donare nulla dell’Impero; ma se lo era, essendo tale donazione una diminuzione della giurisdizione, in quanto imperatore non poteva farla34. 12. Inoltre, se un singolo imperatore potesse scindere qualche piccola parte dalla giurisdizione dell’Impero, per la stessa ragione anche un altro potrebbe farlo. E poiché la giurisdizione temporale è limitata e poiché ogni cosa limitata, attraverso successive limitazioni, finisce per venir meno, ne seguirebbe che la giurisdizione principale può essere annientata: il che è irrazionale35. 13. E inoltre, poiché chi dona si comporta da soggetto attivo e chi riceve da soggetto passivo, come insegna il Filosofo36 nel quarto libro dell’Etica Nicomachea37, perché sia lecita una donazione non solo è richiesta la legittimazione di chi dona, ma anche la legittimazione di chi riceve38; è evidente infatti che le azioni dei soggetti attivi richiedano la legittimazione anche dei soggetti passivi39. 14. Ma la Chiesa non era affatto legittimata a ricevere beni temporali, a causa del comandamento espresso che lo proibisce, come risulta da Matteo: “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio40” ecc. Ora, benché sappiamo da Luca che possa esservi un addolcimento di questo precetto per alcuni aspetti41, tuttavia non ho trovato scritto che, dopo quel divieto, la Chiesa sia stata autorizzata a possedere oro e argento. 15. Per cui, dato che la Chiesa non poteva ricevere, anche ammesso che Costantino da parte sua potesse donare, tuttavia l’azione non sarebbe stata possibile per mancanza di legittimazione del soggetto passivo42. È dunque evidente che la Chiesa non poteva ricevere in proprietà, e che Costantino non poteva offrire a titolo di cessione. 16. Avrebbe potuto tuttavia, l’imperatore, affidare all’amministrazione della Chiesa il proprio patrimonio ed altri beni, ma sempre lasciando intatto quel superiore potere la cui unità non sopporta divisione43. 17. E anche il vicario di Dio avrebbe potuto ricevere, non a titolo di proprietà, ma come dispensatore dei frutti a favore della Chiesa e a favore dei poveri di Cristo; e non ignoriamo che gli Apostoli abbiano fatto questo44.
18. Inoltre, dicono che papa Adriano chiamò Carlo Magno in difesa sua e della Chiesa contro l’attacco dei Longobardi, al tempo in cui Desiderio era loro re; e che Carlo ricevette dal papa la dignità imperiale, nonostante il fatto che Michele45 fosse imperatore a Costantinopoli. 19. Per cui dicono che tutti coloro che dopo di lui furono Imperatori dei Romani, sono anch’essi difensori della Chiesa e devono trarre il loro potere dalla Chiesa; dalla qual cosa discenderebbe quella dipendenza che essi vogliono dimostrare46. 20. E per confutare quest’argomento dico che essi non dimostrano nulla: infatti l’usurpazione del diritto non fa nascere il diritto47. Infatti, se così fosse, allo stesso modo si potrebbe dimostrare che l’autorità della Chiesa dipende dall’imperatore, poiché l’imperatore Ottone innalzò al soglio papa Leone e depose papa Benedetto, e lo condusse in esilio in Sassonia48.



1 Dicono dunque alcuni… diritti imperiali: alcuni dei sostenitori del potere temporale della Chiesa ne facevano risalire l’origine ad una donazione fatta dall’imperatore Costantino al papa Silvestro nel IV secolo d.C., con la quale la stessa Roma, sede dell’Impero, veniva ceduta al papa.

2 che un’autorità dipende dall’altra: che l’autorità dell’Impero dipende da quella della Chiesa.

3 essi: i sostenitori del potere temporale della Chiesa. La tesi combattuta da Dante aveva trovato, nel 1302, un’autorevole formulazione nella bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII.

4 Una volta… di Dio: nei capitoli precedenti Dante aveva discusso e confutato alcune argomentazioni che, attraverso un’interpretazione forzata delle Scritture, pretendevano di fondare il potere temporale della Chiesa sulla stessa parola di Dio.

5 In forma sillogistica: il ragionamento sillogistico, proprio della logica aristotelica, consiste nel trarre conclusioni logicamente necessarie da una premessa maggiore e da una premessa minore [A4].

6 nessuno… dalla Chiesa: quest’affermazione di carattere universale – che Dante non contesta – rappresenta la premessa maggiore del sillogismo dei temporalisti.

7 il governo di Roma è della Chiesa: è questa la premessa minore, che Dante si appresta a confutare.

8 dunque nessuno… dalla Chiesa: si tratta della conclusione del sillogismo, che è logicamente necessaria, ma che può essere considerata vera solo se risultano vere entrambe le premesse.

9 e la premessa minore… riferimento: l’affermazione che “il governo di Roma è della Chiesa” viene dimostrata dai temporalisti proprio attraverso la donazione di Costantino.

10 Io dunque confuto la premessa minore: Io dunque dimostro l’infondatezza della premessa minore. Dal punto di vista logico, ciò equivale a dimostrare l’infondatezza dell’intero sillogismo.

11 e, quando essi la dimostrano… riceverli: e quando i miei avversari (essi) provano la premessa minore (la dimostrano) <adducendo come argomento la donazione di Costantino>, io affermo che tale dimostrazione non ha valore (è inefficace) poiché Costantino non aveva il potere di cedere i diritti sull’Impero, né la Chiesa aveva il potere di riceverli. Dante intende dimostrare che la donazione è giuridicamente nulla per due ragioni: a) Costantino non aveva diritto di compierla; b) il papa non aveva diritto di accettarla.

12 ciò che dico può essere dimostrato così: comincia qui la prima parte dell’argomentazione, con cui si dimostra che Costantino non aveva il diritto di compiere la donazione. Tale affermazione viene provata attraverso una serie di sillogismi [5-12].

13 a nessuno è lecito… è impossibile: nessuno, nell’adempimento delle sue funzioni (dell’ufficio che gli è assegnato), ha il diritto di compiere atti contrari a queste stesse funzioni poiché, se così fosse, un ufficio in quanto tale (nel caso in questione l’Impero) sarebbe contrario a se stesso, il che è logicamente contraddittorio. È la premessa maggiore del primo dei sillogismi di Dante. Tale premessa si basa sul principio di non contraddizione, uno dei fondamenti della logica aristotelica [A4].

14 ma scindere… imperatore: è la premessa minore del primo sillogismo.

15 poiché il suo compito… di questo trattato: per dimostrare la premessa minore, Dante richiama gli argomenti esposti nel primo libro del De monarchia.

16 perciò non è lecito… l’Impero: conclusione logica del primo sillogismo, con cui si dimostra la nullità giuridica dell’atto di Costantino.

17 tunica inconsutile: la tunica di Cristo, fatta con un solo pezzo di stoffa e priva di cuciture, che simboleggia l’unità dei cristiani. La metafora rafforza l’idea dell’indivisibilità dell’Impero, alludendo al tempo stesso all’origine divina di questo principio.

18 che nemmeno… vero Dio: Cfr. Giovanni, XIX, 23-24: “Milites ergo cum crucifixissent Iesum, acceperunt vestimenta eius et fecerunt quattuor partes, unicuique militi partem, et tunicam. Erat autem tunica inconsutilis, desuper contexta per totum. Dixerunt ergo ad invicem: “Non scindamus eam, sed sortiamur de illa, cuius sit”, ut Scriptura impleatur dicens: “Partiti sunt vestimenta mea sibi / et in vestem meam miserunt sortem ””. [“I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca”. Così si adempiva la Scrittura: “Si son divise tra loro le mie vesti / e sulla mia tunica han gettato la sorte””].

19 Inoltre… anche l’Impero ha il suo: si introduce qui un secondo, complesso ragionamento sillogistico, con cui si dimostra ulteriormente l’infondatezza giuridica della donazione. La parte introduttiva del ragionamento si basa su un’analogia tra la Chiesa e l’Impero. Il sillogismo vero e proprio sarà esposto successivamente [8].

20 l’Apostolo: è, per antonomasia, san Paolo.

21 Nessuno… Gesù: 1 Corinzi, III, 11. Questa la trascrizione che Dante dà del testo latino: “Fundamentum aliud nemo potest ponere preter id quod positum est, quod est Cristus Iesus”.

22 il fondamento dell’Impero è il diritto umano: quest’affermazione rappresenta un presupposto logico del sillogismo successivamente introdotto [8]. Tipica del procedimento sillogistico, infatti, è la possibilità di essere articolato a catena: la conclusione di un sillogismo può costituire la premessa di un sillogismo successivo. In questo caso, tuttavia, l’affermazione che “fondamento dell’impero è il diritto umano” non è dimostrata attraverso un vero sillogismo, ma mediante un ragionamento per analogia che trova le sue basi nelle Sacre Scritture.

23 Chi è costei… delizie: Cantico, VIII, 5. Il testo latino, nella forma conosciuta da Dante, è il seguente: “Que est ista, que ascendit de deserto delitiis affluens, innixa super dilectum?”.

24 all’Impero non è lecito… diritto umano: è la premessa maggiore del secondo sillogismo; tale premessa presuppone che il fondamento dell’Impero sia il diritto umano (cfr. nota ).

25 Ma sarebbe… distruggesse se stesso: premessa minore del secondo sillogismo.

26 dunque all’Impero… se stesso: conclusione del secondo sillogismo e, al tempo stesso, premessa maggiore del terzo sillogismo [9].

27 dividere l’Impero significherebbe distruggerlo: premessa minore del terzo sillogismo.

28 in quanto… Monarchia universale: quest’affermazione – che trova il suo fondamento nella precedente trattazione del De monarchia prova la fondatezza della premessa minore del terzo sillogismo.

29 è manifesto… dividere l’Impero: conclusione del terzo sillogismo.

30 E il fatto… dalle cose dette prima: Dante torna sulla premessa minore del secondo sillogismo, sottolineando che la sua fondatezza è già stata dimostrata in precedenza.

31 ogni giurisdizione viene prima del suo giudice: il potere di chi esercita una carica (giudice) discende dalla carica stessa (giurisdizione); è la premessa maggiore del quarto sillogismo.

32 il giudice infatti… e non viceversa: è la premessa minore del quarto sillogismo (la cui esposizione, tuttavia, appare meno esplicita che nei casi precedenti); essa può essere sintetizzata nell’affermazione che “il potere dell’imperatore discende dall’Impero, e non viceversa”. Come sempre, Dante dimostra con scrupolo la fondatezza della premessa minore.

33 l’imperatore non può… quel che è: conclusione del quarto sillogismo.

34 E dunque affermo… non poteva farla: per rafforzare la sua argomentazione, Dante propone un’alternativa paradossale: se Costantino non era imperatore, egli non aveva evidentemente il diritto di dividere l’Impero. Ma, una volta riconosciuto che era imperatore, si deve ugualmente concludere – dati gli argomenti esposti in precedenza – che questo diritto non gli spettava. In entrambi i casi è evidente la nullità della donazione.

35 Inoltre, se un singolo… irrazionale: sempre per rafforzare l’argomentazione principale, Dante dimostra l’assurdità cui si perverrebbe se si ammettesse la validità della donazione di Costantino. Una volta ammesso che un singolo imperatore possa scindere l’Impero, si potrebbe nel tempo innescare un processo di progressiva disgregazione di tale autorità universale, che finirebbe per essere annullata (il che sarebbe in evidente contraddizione con la sua natura universale).

36 il Filosofo: per antonomasia, Aristotele.

37 nel quarto libro dell’Etica Nicomachea: “Ed è chiaro che all’elargire ricchezze s’accompagna il far del bene e il compiere belle azioni, mentre all’acquisirne s’accompagna il ricever del bene e il non agir male” (Etica Nicomachea, IV, 1, 1120a 14).

38 È inoltre… di chi riceve: una volta provato che Costantino non aveva diritto di donare il potere imperiale, Dante affronta la seconda parte della propria argomentazione, dimostrando che la Chiesa non aveva diritto di riceverlo. Si tratta della seconda parte del ragionamento (cfr. nota ), che consente una nuova confutazione della premessa minore su cui è fondato il sillogismo temporalistico (cfr. nota ).

39 è evidente… soggetti passivi: è evidente infatti che gli atti dei soggetti che compiono un’azione (soggetti attivi) richiedono, <per essere considerati validi> che coloro ai quali è rivolta questa azione (soggetti passivi) abbiano il diritto (legittimazione) di goderne. Si tratta di uno dei passi più tecnici – e più difficili da tradurre – del capitolo.

40 Non procuratevi… da viaggio: Il divieto, per la Chiesa, di ricevere beni temporali trova secondo Dante il suo fondamento nelle Sacre Scritture. Il testo evangelico (Matteo, X, 9-10) è trascritto da Dante in questa forma: “Nolite possidere aurum, neque argentum, neque pecuniam in zonis vestris, non peram in via”. I curialisti invece ritenevano che l’invito tramandato da Matteo biasimasse non il possesso dei beni materiali bensì la loro ricerca (sollicitudo).

41 un addolcimento di questo precetto per alcuni aspetti: probabile riferimento a Luca, XXII, 35-36: “et dixit eis: “Quando misi vos sine sacculo et pera et calceamentis, numquid aliquid defuit vobis?”. At illi dixerunt: “Nihil”. Dixit ergo eis: “Sed nunc, qui habet sacculum, tollat, similiter et peram; et, qui non habet, vendat tunicam suam et emat gladium””. [“Poi disse: “Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?”. Risposero: “Nulla”. Ed egli soggiunse: “Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una””].

42 Per cui, se la Chiesa… soggetto passivo: se anche non fossero fondati i precedenti sillogismi che dimostrano l’illegittimità dell’atto di Costantino, esso risulterebbe comunque nullo per il fatto che la Chiesa non poteva ricevere beni temporali.

43 affidare all’amministrazione… non sopporta divisione: l’atto di Costantino sarebbe stato legittimo se l’imperatore, anziché cedere definitivamente alla Chiesa parte dell’Impero a titolo di proprietà, si fosse limitato ad assegnarle l’uso (amministrazione) di alcuni beni, essenzialmente a fini di carità (cfr. nota ). In questo caso, infatti, non si sarebbe intaccata l’unità dell’Impero stesso.

44 E anche il vicario di Dio… abbiano fatto questo: Dante riconosce che la Chiesa può amministrare beni materiali – senza però esserne proprietaria –, a patto di utilizzarli per il sostentamento proprio e dei poveri, su esempio degli Apostoli.

45 Michele: in realtà l’imperatrice era Irene, che osteggiò fortemente l’incoronazione di Carlo Magno a imperatore, avvenuta comunque ad opera di papa Leone III nella notte di Natale dell’800.

46 Inoltre, dicono… vogliono dimostrare: si accenna infine a un altro argomento – diverso dalla donazione di Costantino, la cui legittimità è ormai definitivamente confutata – addotto dai sostenitori del potere temporale. Si tratta della Translatio imperii a Graecis in Germanos, secondo cui tutti gli imperatori sono considerati advocati Ecclesiae: si sosteneva infatti che, a partire dalla chiamata in Italia di Carlo Magno ad opera di papa Adriano I e dall’incoronazione con cui Leone III gli conferì la dignità imperiale, gli imperatori dovevano sempre trarre il loro potere dall’autorità papale.

47 infatti l’usurpazione… il diritto: poiché l’incoronazione di Carlo Magno da parte di Leone III è stata una violazione del diritto (usurpazione), è chiaro che essa non può essere addotta a fondamento del diritto.

48 Infatti, se così fosse… in Sassonia: se fosse possibile, per assurdo, fondare un diritto sull’usurpazione, diventerebbe legittimo sostenere anche che il potere del papa dipende dall’Impero (infatti ci sono stati imperatori che si sono arrogati il diritto di nominare i papi): Dante conclude quindi il capitolo mostrando le conseguenze assurde cui si arriverebbe se si seguisse il ragionamento dei sostenitori del potere temporale. L’episodio cui Dante accenna – con qualche inesattezza – risale al 964.


La collocazione del capitolo nella Monarchia
Il capitolo che abbiamo riportato, il decimo del terzo libro, rappresenta uno dei passaggi centrali della dimostrazione dell’autonomia dell’Impero rispetto al Papato. Dopo avere dimostrato la necessità dell’Impero universale (libro I) e la legittimità dell’Impero romano (libro II), Dante passa a discutere il problema dei rapporti tra le due istituzioni universali, svolgendo un ragionamento che culminerà nella pagina conclusiva dell’opera [G35]. Obiettivo polemico di Dante sono, ovviamente, i sostenitori della supremazia della Chiesa sull’Impero. Nei capitoli precedenti erano state confutate alcune argomentazioni arbitrariamente basate sulle Scritture. A questo punto occorre confutare quelle fondate su atti compiuti dagli uomini, come la famosa donazione di Costantino.
La donazione era in effetti un falso documento, fabbricato nell’VIII secolo d.C., grazie al quale i fautori del potere temporale della Chiesa potevano sostenere che, all’origine di esso, c’era stata una precisa volontà dell’imperatore, determinatasi dopo la sua conversione al Cristianesimo.
La falsità del documento sarebbe stata dimostrata nel Quattrocento, ad opera dell’umanista Lorenzo Valla. In base ad argomenti linguistici e filologici, Valla avrebbe evidenziato come fosse impossibile datare quel testo all’epoca di Costantino (IV secolo d.C.) e ne avrebbe fissato la compilazione a quattro secoli più tardi.
Ma la dimostrazione di Dante non verte affatto sulla falsità del documento. L’approccio di Valla poteva essere pensabile solo all’interno di una cultura umanistica, formata a una corretta interpretazione dei testi classici e metodologicamente indirizzata sulla strada di una moderna mentalità scientifica (e cioè sulla strada di un metodo induttivo, che parte dall’osservazione dei fenomeni e solo successivamente ne deduce leggi generali).
Dante, invece, si muove interamente all’interno dell’orizzonte medievale. Il suo metodo è rigorosamente deduttivo. Esso parte da premesse di ordine generale e ne fa discendere sillogisticamente conclusioni necessarie. La dimostrazione scientifica non si fonda per lui sull’osservazione e l’analisi minuziosa degli oggetti, ma sull’inserimento di alcuni dati essenziali in una catena logica rigorosamente formalizzata, che trova le sue radici nella filosofia aristotelica. Data la complessità del ragionamento, è utile ripercorrerlo in questa sede, ripetendo, in qualche caso, osservazioni già esposte nelle note.

Il sillogismo dei temporalisti
In primo luogo, Dante enuncia il ragionamento dei suoi avversari schematizzandolo in forma sillogistica [3]. Esso si articola come segue:
- nessuno può avere ciò che è della Chiesa se non per concessione della stessa Chiesa (premessa maggiore);
- il governo di Roma appartiene alla Chiesa (premessa minore);
- spetta dunque alla Chiesa investire l’imperatore del governo di Roma (conclusione).
Dante non mette in discussione la premessa maggiore del ragionamento temporalistico, che consiste in un’affermazione di carattere universale logicamente corretta. La sua critica si appunta invece sulla premessa minore, che i fautori del potere temporale ritengono di poter dimostrare attraverso la donazione di Costantino. Obiettivo di Dante è provare l’infondatezza della premessa minore e, con ciò, dell’intero sillogismo dei suoi avversari.
La confutazione della premessa minore avviene in due fasi.
A) In primo luogo, si dimostra che l’imperatore non aveva il diritto di compiere la donazione [5-12].
B) In secondo luogo, si dimostra che la Chiesa non aveva il diritto di riceverla [13-17].

A) La prima parte della confutazione: Costantino non aveva diritto a compiere la donazione
La prima fase della confutazione occupa la parte più significativa del capitolo. Dante si affida a quattro sillogismi, ciascuno dei quali sarebbe sufficiente, di per sé, a mostrare la nullità dell’atto di Costantino. Di ogni sillogismo egli dimostra sempre con particolare attenzione la premessa minore (quella che, non vertendo su affermazioni di carattere universale né scaturendo da necessità logica, ha più bisogno di essere provata con dati di fatto). Due di questi sillogismi (il secondo e il terzo) sono concatenati: la conclusione del secondo rappresenta infatti anche la premessa del terzo.
I sillogismi con cui Dante dimostra che Costantino non poteva legittimamente compiere la donazione possono essere così riassunti:

A1) Primo sillogismo [5-6]
- Nessuno, nell’adempimento del proprio ufficio, può compiere atti contrari a questo stesso ufficio (premessa maggiore);
- scindere l’Impero è atto contrario all’ufficio dell’imperatore (premessa minore);
- dunque l’imperatore non può scindere l’Impero (conclusione).

A2) Secondo sillogismo [7-8]
- All’Impero non è lecito andare contro il diritto umano (premessa maggiore);
- distruggere l’Impero è atto contrario al diritto umano (premessa minore);
- dunque all’Impero non è lecito distruggere se stesso (conclusione).
Di questo secondo sillogismo, Dante dimostra la premessa maggiore insistendo sul parallelismo tra la Chiesa (il cui fondamento sta in Cristo) e l’Impero (che si fonda, appunto, sul diritto umano). Per la dimostrazione della premessa minore egli si richiama invece, poche righe più sotto, alla precedente trattazione del De monarchia [9].

A3) Terzo sillogismo [8-9]
- All’Impero non è lecito distruggere se stesso (premessa maggiore, che era anche la conclusione del sillogismo precedente);
- dividere l’Impero equivale a distruggerlo (premessa minore);
- dunque all’imperatore non è lecito dividere l’Impero (conclusione).
Anche in questo caso, per la dimostrazione della premessa minore, Dante rimanda implicitamente alla precedente trattazione [9].

A4) Quarto sillogismo [10]
La formulazione di quest’ultimo sillogismo non è del tutto sistematica, ma il ragionamento sembra poter essere riassunto come segue:
- il potere di chi esercita una carica discende dalla carica stessa (premessa maggiore);
- il potere dell’imperatore discende dalla carica imperiale (premessa minore);
- dunque l’imperatore non può intaccare quella carica da cui discende il suo potere (conclusione; anche questo ragionamento, a ben vedere, trova la propria radice nel principio di non contraddizione).
Anche stavolta la dimostrazione della premessa minore è molto articolata; essa potrebbe a sua volta essere esposta in forma sillogistica.

A5) I ragionamenti accessori [11-12]
Ai quattro sillogismi fondamentali e agli altri sillogismi – talora esposti in forma parziale o implicita – che ne dimostrano le premesse, si aggiungono ulteriori ragionamenti, volti ad evidenziare il fatto che, se si cedesse alle tesi temporalistiche, si sarebbe costretti a trarre da esse conseguenze assurde o illogiche.

B) La seconda parte della confutazione: la Chiesa non aveva diritto di accettare la donazione [13-17]
La confutazione del sillogismo temporalistico – che pure appare così abbondantemente argomentata – deve essere completata osservando la questione dal punto di vista della Chiesa. Qui il ragionamento di Dante appare assai più semplice, poiché il divieto di ricevere beni temporali a titolo di proprietà è radicato nelle Scritture e poiché, anche se il divieto può ammettere qualche temperamento, nessun passo della Scrittura autorizza la Chiesa a possedere oro e argento.

C) La conclusione del ragionamento [18-20]
Una volta dimostrato che la donazione di Costantino, e la sua accettazione da parte della Chiesa, contraddicono le finalità dell’Impero e della Chiesa, si possono liquidare brevemente gli altri argomenti storici addotti a favore del potere temporale. Tale potere è frutto di una usurpazione, e il fatto che – per esempio – Carlo Magno sia stato incoronato imperatore da papa Leone III non dimostra affatto la fondatezza giuridica di questo potere: il papa non poteva conferire a Carlo Magno un potere che non apparteneva alla Chiesa [18-19], così come – d’altra parte – l’imperatore Ottone non aveva alcun diritto di deporre un pontefice sgradito per sostituirlo con un altro [20].
Il ragionamento di Dante rappresenta una delle posizioni più avanzate cui poteva spingersi il pensiero medievale. Un pensiero che poteva giungere – a partire da una rigorosa e coerente accettazione dei principi cristiani – a formulare una critica radicale alla degenerazione della Chiesa, e dunque a rivendicare con forza la piena autonomia del potere politico da quello ecclesiastico [G35]; ma che non aveva ancora messo in discussione i presupposti logici e metodologici dell’aristotelismo. Un pensiero abilissimo nell’affilare le armi della deduzione sillogistica per contendere al papa i poteri ingiustamente usurpati; ma non ancora capace di leggere correttamente un testo antico per restituirlo, con moderno senso storico, al proprio tempo e al proprio significato.