DANTE ALIGHIERI
G3a - La seconda apparizione di Beatrice
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[Vita nuova, cap. III] 1. Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima1, ne l’ultimo di questi die2 avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo3, in mezzo a due gentili donne, le quali erano di più lunga etade4; e passando per una via, volse li occhi verso quella parte ov’io era molto pauroso5, e per la sua ineffabile cortesia, la quale è oggi meritata nel grande secolo6, mi salutoe molto virtuosamente7, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine8. 2. L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente nona di quello giorno9; e però che10 quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puosimi a pensare di questa cortesissima11. 3. E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, ne lo quale m’apparve una maravigliosa12 visione: che me parea vedere ne la mia camera una nebula13 di colore di fuoco, dentro a la quale io discernea una figura d’uno segnore di pauroso aspetto a chi la guardasse14; e pareami con tanta letizia, quanto a sé, che mirabile cosa era15; e ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche16; tra le quali intendea queste: «Ego dominus tuus»17. 4. Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggeramente18; la quale io riguardando molto intentivamente, conobbi ch’era la donna de la salute, la quale m’avea lo giorno dinanzi degnato di salutare19. 5. E ne l’una de le mani mi parea che questi20 tenesse una cosa la quale ardesse tutta, e pareami che mi dicesse queste parole: «Vide cor tuum»21. 6. E quando elli era stato alquanto, pareami che disvegliasse questa che dormia; e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare questa cosa che in mano li ardea, la quale ella mangiava dubitosamente22. 7. Appresso ciò poco dimorava che la sua letizia si convertia in amarissimo pianto23; e così piangendo, si ricogliea24 questa donna ne le sue braccia, e con essa mi parea che si ne gisse25 verso lo cielo; onde io sostenea26 sì grande angoscia, che lo mio deboletto sonno non poteo sostenere27, anzi si ruppe e fui disvegliato. 8. E mantenente cominciai a pensare, e trovai che l’ora ne la quale m’era questa visione apparita, era la quarta de la notte stata; sì che appare manifestamente ch’ella fue la prima ora de le nove ultime ore de la notte28. 9. Pensando io a ciò che m’era apparuto, propuosi di farlo sentire a molti li quali erano famosi trovatori in quello tempo29: e con ciò fosse cosa che io avesse già veduto per me medesimo l’arte del dire parole per rima, propuosi di fare uno sonetto, ne lo quale io salutasse tutti li fedeli d’Amore30; e pregandoli che giudicassero31 la mia visione, scrissi a loro ciò che io aveva nel mio sonno veduto. 10. E cominciai allora questo sonetto, lo quale comincia: A ciascun’alma presa.

1 Poi che… gentilissima: Quando furono (fuoro) passati tanti giorni (die, latinismo con epitesi), che si erano compiuti esattamente (appunto) nove anni dopo l’apparizione (apparimento), di cui si è detto prima (soprascritto), di questa gentilissma donna. Le vicende di questo capitolo avvengono a nove anni esatti di distanza da quelle del precedente: Dante ha quindi diciotto anni.

2 ne l’ultimo di questi die: nel giorno esatto in cui si compivano i nove anni dalla prima apparizione di Beatrice.

3 di colore bianchissimo: il colore delle vesti allude alla natura angelica di Beatrice. Per il significato simbolico e religioso del colore bianco si veda l’analisi.

4 di più lunga etade: di età maggiore della sua.

5 volse gli occhi… pauroso: rivolse lo sguardo verso quella parte in cui io mi trovavo, in preda a un grande turbamento (molto pauroso). Dante non dice che Beatrice abbia guardato lui, ma solo «quella parte» in cui si trovava: ciò vale ad accentuare la distanza tra il poeta-amante e la donna-angelo.

6 per la sua… secolo: per la sua indescrivibile (ineffabile) liberalità (cortesia), la quale è ricompensata (meritata) ora nell’eternità (grande secolo).

7 mi salutoe molto virtuosamente: mi salutò (salutoe, forma con epitesi) in modo molto efficace (virtuosamente). L’efficacia o “virtù” del saluto di Beatrice consiste nel condurre Dante a uno stato di beatitudine.

8 tanto che… beatitudine: tanto che in quel momento (allora) mi sembrò di conoscere (vedere) i confini estremi (tutti li termini) della beatitudine. Lo stato d’animo raggiunto in seguito al saluto di Beatrice sembrava dunque al poeta-amante il grado più alto di felicità possibile («beatitudine» è termine di chiara connotazione religiosa). Ma questa era la sua percezione di «allora»; successivamente [G7] Dante comprenderà che la «beatitudine» non può dipendere solo dal saluto della donna.

9 L’ora… giorno: L’ora in cui (che) mi giunse il suo dolcissimo saluto (salutare è infinito sostantivato; la parola richiama, oltre all’idea del saluto, anche quella – strettamente connessa, attraverso l’etimo latino salus – della “salute”, ossia della salvezza spirituale) era certamente (fermamente) la nona di quel giorno. I medievali contavano le ore dal sorgere del sole; la nona ora corrisponde quindi approssimativamente alle tre del pomeriggio (ma su questo punto sono state avanzate anche altre ipotesi).

10 però che: poiché.

11 presi… cortesissima: ne ebbi (presi) tanta dolcezza, che come in estasi (inebriato) mi allontanai (mi partio) dalla folla (genti, francesismo), e mi rifugiai (ricorsi) nella solitudine (a lo solingo luogo) di una mia stanza, e mi misi a pensare a questa cortesissima <donna>.

12 maravigliosa: tale da destare stupore. L’aggettivo non implica necessariamente una connotazione positiva.

13 nebula: nuvola.

14 dentro… guardasse: all’interno della quale (riferito alla «nebula») io distinguevo (discernea) la figura di un signore (il termine indica un personaggio autorevole, dotato dei segni del comando: si tratta di Amore), il cui aspetto metteva paura a chi la guardasse (il pronome «la» è al femminile perché concordato con «figura»).

15 e pareami… era: e mi sembrava così lieto (con tanta letizia), per quanto riguardava la sua natura (quanto a sé), che era una cosa meravigliosa (mirabile). Amore è in sé lieto, ma incute sgomento a chi lo guarda. Il contrasto tra queste due realtà appare a Dante «mirabile», cioè sorprendente, tale da destare meraviglia.

16 e ne le sue parole… se non poche: e nei suoi discorsi (parole) diceva molte cose, che io comprendevo solo in minima parte (le quali io non intendea se non poche).

17 Ego dominus tuus: Io <sono> il tuo signore. L’espressione stabilisce, come vuole la tradizione cortese, un rapporto di vassallaggio tra Amore e il poeta; ma essa richiama anche l’inizio del Decalogo («Io sono il Signore Dio tuo», Esodo, XX, 2). La figura di Amore riceve pertanto una connotazione religiosa.

18 Ne le sue… leggeramente: Tra le sue braccia mi sembrava di vedere una persona che dormiva nuda, a parte il fatto (salvo) che mi sembrava delicatamente (leggeramente) avvolta (involta) in un tessuto (uno drappo) di colore rosso scuro (sanguigno). L’avverbio «leggeramente» dipende dal verbo «involta» e non, come potrebbe apparire, dall’aggettivo «sanguigno»: esso allude infatti alla qualità del tessuto, che è così delicato da far apparire a prima vista nuda la persona che è in esso avvolta. Il colore «sanguigno» richiama l’abito indossato da Beatrice nella sua prima apparizione [G2].

19 la quale… salutare: guardando la quale con molta attenzione (molto intentivamente), mi accorsi (conobbi) che era la donna della salvezza (salute, dal latino salus), che il giorno prima si era degnata di salutarmi. La figura etimologica «salute» - «salutare» non si limita a sottolineare la comune origine dei due termini (il “saluto” è, in primo luogo, un augurare “salute”), ma istituisce tra essi un rapporto simbolico più profondo: il saluto di Beatrice (il cui nome, come sappiamo, significa «apportatrice di beatitudine») comporta la «salute» intesa come salvezza dell’anima di chi lo riceve. Anche la figura di Beatrice, dunque, è fortemente connotata in senso religioso. Il tema del saluto-salute era già in Guinizzelli, anche se con implicazioni religiose meno profonde [E2].

20 questi: Amore.

21 Vide cor tuum: Guarda il tuo cuore.

22 E quando… dubitosamente: E dopo che era rimasto fermo (stato) per un po’ (alquanto), mi sembrava che svegliasse questa donna che dormiva; e tanto si sforzava con tutte le sue capacità (per suo ingegno), che le faceva mangiare questa cosa che ardeva nelle sue mani (cioè il cuore di Dante), che lei mangiava con timore (dubitosamente). L’immagine del cuore mangiato è molto diffusa nella letteratura medievale. Come nota Contini, mangiare una parte del corpo altrui equivale ad appropriarsi della sua anima e della sua forza. Il timore con cui la donna mangia il cuore di Dante potrebbe invece alludere alla ritrosia con cui Beatrice ne accoglie la passione amorosa.

23 Appresso… pianto: Dopo questo fatto passava poco tempo, finché la sua (di Amore) gioia si cambiava (si convertia) in amarissimo pianto. Ricordiamo che Amore era apparso «con tanta letizia, quanto a sé, che mirabile cosa era» [3]. Questa parte dell’episodio è interpretabile come una premonizione della morte di Beatrice.

24 si ricogliea: sollevava.

25 si ne gisse: se ne andasse.

26 sostenea: pativo.

27 lo mio… sostenere: non potevo protrarre il mio debole sonno. La forma diminutiva dell’aggettivo («deboletto») è tipicamente cavalcantiana [E6].

28 E mantenente… de la notte: E immediatamente (mantenente) cominciai a pensare, e mi accorsi (trovai) che l’ora in cui mi era apparsa questa visione era stata la quarta ora della notte (corrispondente alle dieci di sera); sicché appare con evidenza (manifestamente) che essa fu la prima delle ultime nove ore della notte. Essendo la notte composta di dodici ore, la sua quarta ora è infatti la prima delle ultime nove. Il riferimento al simbolismo del nove è introdotto da un verbo al presente («appare manifestamente»): a collegare l’ora del sogno a questo sistema simbolico è infatti il narratore consapevole.

29 Pensando… tempo: Pensando a ciò che mi era apparso, decisi (propuosi) di farlo sapere (sentire) a molti che erano in quel tempo famosi poeti (trovatori, provenzalismo).

30 e con ciò… Amore: e poiché (con ciò fosse cosa che) io avevo già esperienza diretta dell’arte di comporre versi in volgare (io avesse già veduto per me medesimo l’arte del dire parole per rima), decisi (propuosi) di fare un sonetto, in cui salutassi tutti i fedeli d’Amore. Il sonetto che segue, il primo della Vita nuova, non è dunque il primo in assoluto scritto da Dante, che dichiara di avere già esperienza poetica in volgare (la precisazione che si tratta di versi in volgare è implicita nell’uso del termine tecnico «rima», estraneo alla poesia latina).Il riferimento ai «fedeli d’Amore» lascia capire come i destinatari del sonetto fossero solo i pochi eletti in grado di capire l’esperienza amorosa; ovvero quell’aristocrazia dello spirito teorizzata da Guinizzelli nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore [E1]). In base alle indicazioni che Dante ci offre alla fine del capitolo [G3b], sembra che sia stata proprio la composizione di questo sonetto a introdurre il poeta diciottenne nella cerchia degli stilnovisti.

31 giudicassero: interpretassero.


G3a - Analisi del testo
Il terzo capitolo della Vita nova comprende questa prosa e il sonetto A ciascun’alma presa e gentil core [G3b]. Le due parti del capitolo, che abbiamo diviso solo per comodità di analisi, devono essere lette congiuntamente per poter cogliere il rapporto che esiste nell’opera dantesca tra la prosa e la poesia.
Possiamo individuare nella prosa tre sequenze:

Seconda apparizione e saluto di Beatrice [1, 2]
La seconda apparizione della donna avviene a nove anni esatti di distanza dalla prima, e si colloca alla nona ora del giorno. Il ricorrere del numero nove contribuisce, ancora una volta, a inquadrare l’episodio in una cornice simbolico-religiosa.
Al simbolismo del numero si affianca quello dei colori: Beatrice veste infatti «di colore bianchissimo». Questo dato sembra rinviare a due episodi evangelici: il primo è la Trasfigurazione, cioè il momento in cui sul monte Tabor Cristo appare ai discepoli con sembianze divine e le sue vesti diventano «splendenti, bianchissime»1; il secondo è l’incontro tra le donne venute a visitare il sepolcro di Cristo e il giovane «vestito d’una veste bianca» che siede al suo interno dopo la Resurrezione2. Come il simbolismo del numero accosta la figura di Beatrice al miracolo, quello dei colori la accosta dunque, seppur in forma implicita, a Cristo e a un angelo.
Non si tratta di semplici iperboli: l’avvicinamento che Dante compie tra la sfera dell’amore profano e quella del sacro ha significati assai più profondi che negli altri poeti stilnovisti. Nel descrivere gli effetti del saluto di Beatrice, il narratore consapevole osserva che, in quel momento, il poeta-amante credeva di aver raggiunto il più alto grado della «beatitudine». Questo termine deve essere inteso conservandone intera la connotazione religiosa. Come ha mostrato Singleton, la Vita nuova può essere infatti letta in chiave mistica: nella vicenda del libro possono individuarsi tre fasi, ciascuna della quali corrisponde a uno stadio dell’ascesa dell’anima a Dio. Questo capitolo apre la prima fase, durante la quale l’amante ripone la propria felicità nel saluto della donna; allo stesso modo, nel primo stadio dell’ascesa mistica, l’anima ama Dio attraverso le cose esteriori, quelle che sono extra nos. Come si vedrà nei successivi capitoli, l’amore di Dante per Beatrice attraverserà dopo questa due altre fasi, ciascuna corrispondente a un diverso stadio dell’amore mistico.
La complessità di questo significato religioso, ovviamente, poteva essere compresa solo dal narratore consapevole; essa sfuggiva invece al poeta-amante che, come vedremo, non era in grado di cogliere immediatamente tutte le implicazioni simboliche delle vicende vissute.
Ad immergere l’episodio in un’atmosfera soprannaturale contribuisce anche il fatto che Beatrice non sia descritta né nominata, ma solo indicata con aggettivi antonomastici, nella maggior parte dei casi di grado superlativo («gentilissima», «mirabile» [1], «cortesissima» [2]). Il grado superlativo prevale anche negli aggettivi riferiti agli abiti di Beatrice o alle sue azioni (il colore del vestito è «bianchissimo» [1], il suo saluto «dolcissimo» [2] ecc.) o negli avverbi a lei connessi («molto virtuosamente» [1]).

Sogno di Dante successivo all’apparizione [3-7]
La seconda sequenza è particolarmente importante, anche perché il tema trattato coincide in parte con quello del sonetto compreso in questo capitolo. Vi sono tuttavia significative differenze tra i due testi; è quindi opportuno analizzare in dettaglio i motivi narrativi che compaiono in questa sequenza.
  1. Dante, dopo essersi addormentato, vede in sogno una nuvola di fuoco;
  2. dentro questa nuvola appare una figura che mette paura a chi la guardi (Amore);
  3. Amore, riguardo alla sua natura, appare allegro;
  4. Amore pronuncia le parole «Ego dominus tuus»;
  5. Amore tiene in braccio una donna addormentata avvolta in un drappo;
  6. questo drappo è di colore «sanguigno»;
  7. questa donna si identifica con «la donna de la salute», ossia Beatrice;
  8. Amore tiene in mano il cuore del poeta;
  9. Amore sveglia la donna e le fa mangiare il cuore del poeta;
  10. la letizia di Amore si trasforma in pianto;
  11. Amore va via portando in cielo la donna.


Per una migliore comprensione del capitolo occorre rimandare a quanto si dirà analizzando il sonetto [G3b]. Osserviamo subito, tuttavia, che anche in questa sequenza Dante utilizza motivi biblici (le parole pronunciate da Amore non possono non richiamare il primo dei comandamenti dettati da Dio a Mosé). Inoltre è evidente l’identificazione della donna sognata con Beatrice: tale identificazione, già allusivamente richiamata dal colore rosso del drappo che la avvolge [G2], è dichiarata infatti esplicitamente dal narratore consapevole [4].

Riflessione di Dante sul sogno e stesura del sonetto [8-10]
L’ultima sequenza della prosa ha la funzione di introdurre alla lettura del sonetto che segue (la Vita nuova, infatti, è un’opera mista di prosa e versi, che riepiloga e interpreta l’opera letteraria giovanile di Dante). Il narratore richiama le sue riflessioni successive al sogno e accenna ai vari tentativi di interpretarlo a suo tempo compiuti dai poeti della cerchia stilnovistica. Ma egli non si limita a questo: nell’informarci che il sogno è avvenuto alla quarta ora della notte, Dante precisa infatti che quest’ora è la prima delle ultime nove, facendoci intendere che anche l’episodio del sogno andrà letto alla luce del simbolismo del numero nove. Anche in questa sequenza, dunque, opera la prospettiva del narratore consapevole. L’analisi del sonetto [G3b] consentirà di comprendere quanto essa sia diversa da quella del poeta-amante.


1 Cfr. Marco, IX, 1-2: «Et post dies sex assumit Iesus Petrum et Iacobum et Ioannem, et ducit illos in montem excelsum seorsum solos. Et transfiguratus est coram ipsis; et vestimenta eius facta sunt splendentia, candida nimis, qualia fullo super terram non potest tam candida facere» [«Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche»].

2 Cfr. Marco, XVI, 5: «Et introeuntes in monumentum viderunt iuvenem sedentem in dextris, coopertum stola candida, et obstupuerunt» [«Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura»].