DANTE ALIGHIERI
G7 - La nuova poetica della lode
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[Vita nuova, cap. XVIII] 1. Con ciò sia cosa che per la vista mia molte persone avessero compreso lo secreto del mio cuore, certe donne, le quali adunate s’erano dilettandosi l’una ne la compagnia de l’altra, sapeano bene lo mio cuore, però che ciascuna di loro era stata a molte mie sconfitte1; e io passando appresso di loro, sì come da la fortuna menato2, fui chiamato da una di queste gentili donne. 2. La donna che m’avea chiamato era donna di molto leggiadro parlare3; sì che quand’io fui giunto dinanzi da loro, e vidi bene che la mia gentilissima donna4 non era con esse, rassicurandomi le salutai, e domandai che piacesse loro5. 3. Le donne erano molte, tra le quali n’avea certe6 che si rideano tra loro; altre v’erano che mi guardavano aspettando che io dovessi dire7; altre v’erano che parlavano tra loro. 4. De le quali una, volgendo li suoi occhi verso me e chiamandomi per nome, disse queste parole: «A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, ché certo lo fine di cotale amore conviene che sia novissimo8». 5. E poi che m’ebbe dette queste parole, non solamente ella, ma tutte l’altre cominciaro ad attendere in vista la mia risponsione9. 6. Allora dissi queste parole loro: «Madonne, lo fine del mio amore fue già lo saluto di questa donna, forse di cui voi intendete10, e in quello dimorava la beatitudine, ché era fine di tutti li miei desiderii11. Ma poi che le piacque di negarlo a me, lo mio segnore Amore, la sua merzede, ha posto tutta la mia beatitudine in quello che non mi puote venire meno»12. 7. Allora queste donne cominciaro a parlare tra loro; e sì come talora vedemo cadere l’acqua mischiata di bella neve, così mi parea udire le loro parole uscire mischiate di sospiri13. 8. E poi che alquanto ebbero parlato tra loro, anche mi disse questa donna che m’avea prima parlato, queste parole: «Noi ti preghiamo che tu ne dichi14 ove sta questa tua beatitudine». 9. Ed io, rispondendo lei, dissi cotanto15: «In quelle parole che lodano la donna mia»16. 10. Allora mi rispuose questa che mi parlava: «Se tu ne dicessi vero, quelle parole che tu n’hai dette in notificando la tua condizione, avrestù operate con altro intendimento»17. 11. Onde io, pensando a queste parole, quasi vergognoso mi partio da loro, e venia dicendo fra me medesimo: «Poi che è tanta beatitudine in quelle parole che lodano la mia donna, perché altro parlare è stato lo mio?»18. 12. E però propuosi di prendere per matera de lo mio parlare sempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima19; e pensando molto a ciò, pareami avere impresa troppo alta matera quanto a me20, sì che non ardia21 di cominciare; e così dimorai22 alquanti dì con disiderio di dire e con paura di cominciare.

1 Con ciò… sconfitte: Poiché, a causa del mio aspetto (vista) molte persone avevano compreso il segreto del mio cuore, alcune donne, che si erano riunite rallegrandosi (dilettandosi) l’una della compagnia dell’altra, conoscevano a fondo (sapeano bene) il mio cuore, poiché ciascuna di loro era stata presente a molti episodi in cui io mi ero tradito (molte mie sconfitte). L’amore per Beatrice era stato celato attraverso le donne dello schermo, ma Dante si era tradito non riuscendo a mascherare il proprio turbamento.

2 sì come… menato: come se vi fossi stato portato dalla sorte (fortuna non implica nella lingua del Duecento una connotazione positiva; tuttavia, data l’importanza che assumerà quest’episodio, si può forse qui identificare la fortuna con la Provvidenza).

3 era donna… parlare: era donna capace di parlare in modo assai raffinato (l’aggettivo leggiadro indica qui eleganza e “gentilezza”, ma forse allude anche alla sottile abilità dialettica di cui questa donna darà prova). Si noti la ripetizione del sostantivo «donna», che rallenta il ritmo narrativo.

4 la mia gentilissima donna: Beatrice, la cui presenza è temuta da Dante perché gli arrecherebbe turbamento.

5 e domandai… loro: e chiesi loro cosa desiderassero (che piacesse loro).

6 n’avea certe: ce n’erano alcune.

7 apettando… dire: aspettando che io parlassi.

8 A che… novissimo: A che scopo ami questa donna, visto che non puoi tollerare (sostenere) la sua presenza? Diccelo (dilloci, con inversione, rispetto all’italiano moderno, dell’ordine dei due pronomi enclitici -ci e -lo), poiché certo è necessario (conviene) che il fine di tale amore sia straordinario (novissimo). Evidente il ricordo dei precedenti smarrimenti di Dante al cospetto di Beatrice [G6a, G6b].

9 ad attendere… risponsione: ad aspettare visibilmente (in vista) la mia risposta. Le donne, a differenza di quanto avveniva in precedenza [3], mostrano ora tutte apertamente il proprio interesse per Dante.

10 forse di cui voi intendete: alla quale probabilmente (forse) voi alludete. Il riferimento a Beatrice non è esplicito ma è ormai evidente.

11 e in quello… desiderii: e in quel saluto risiedeva (dimorava) la mia beatitudine, poiché (ché) esso era l’obiettivo di tutti i miei desideri. Dante riconosce che la sua beatitudine in passato dipendeva da un fatto esteriore, il saluto della donna, che veniva inteso anche come una sorta di ricompensa per il suo amore.

12 Ma poi… venire meno: Ma poiché a Beatrice piacque di negarmi il suo saluto, il mio signore Amore, per sua grazia (la sua merzede) ha posto tutta la mia beatitudine in qualcosa che non mi può essere sottratto (in quello che non mi puote venire meno). La nuova fonte della beatitudine non sta dunque in una ricompensa della donna, ma in una nuova dimensione interiore che non può essere sottratta al poeta-amante.

13 e sì come… sospiri: la similitudine tra l’acqua che cade mischiata a neve e le parole è in Isaia, LV, 10-11: «Et quomodo descendit imber et nix de caelo […] sic erit verbum meum quod egredietur de ore meo» [«Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo […] così sarà della parola uscita dalla mia bocca]. Ma l’aggiunta dell’aggettivo «bella» fa assumere al dettato la grazia stilizzata caratteristica delle prose della Vita nuova.

14 ne dichi: ci dica, con desinenza popolare.

15 cotanto: solo questo; il pronome evidenzia l’importanza delle parole che seguono.

16 In quelle parole… donna mia: Dante afferma di poter raggiungere la beatitudine in modo disinteressato, senza cioè aspirare alla ricompensa del saluto, ma solo attraverso le parole che «lodano» (termine di connotazione religiosa che richiama la lauda) la sua donna.

17 Se tu… altro intendimento: Se tu dicessi la verità, quelle poesie (parole) che hai scritto facendo conoscere (in notificando, costruzione ricalcata sul gerundio latino) la tua condizione, tu le avresti composte (avrestù operato) con altra finalità (intendimento). La donna sottolinea con logica implacabile la contraddizione in cui è caduto Dante, le cui poesie, più che alla lode della donna, sono dedicate alla sofferenza e alla passione dell’amante. La poesia di Dante non riflette dunque ancora questa disinteressata poetica della lode.

18 Poi che… lo mio? Dante riconosce dunque l’inadeguatezza della sua poesia allo scopo che egli si è prefissato.

19 E però… gentilissima: E perciò (però) decisi (propuosi) di prendere come materia della mia poesia sempre e solo (sempre mai: il secondo avverbio ha funzione rafforzativa) quegli argomenti che servissero alla lode di questa gentilissima.

20 pareami… quanto a me: mi sembrava di avere deciso di affrontare (impresa) una materia troppo elevata per le mie forze (quanto a me).

21 non ardia: non avevo il coraggio.

22 dimorai: rimasi senza scrivere.


G7 - Analisi del testo
Il “processo” a Dante
Come in ogni prosa della Vita nuova che rappresenti un evento di vita sociale (qui si tratta di un incontro avvenuto per le strade di Firenze) è necessario sottolineare il fatto che i dati concreti appaiono sfumati, indeterminati, e che i nomi di luoghi e di persona sono taciuti per concentrare l’attenzione sul significato complessivo della vicenda. Si può però notare che, in questo brano, si fa un uso piuttosto ampio del discorso diretto. Dante viene interrogato sulla natura del suo amore per Beatrice; il dialogo tra lui e la donna (portavoce di tutte le altre) costituisce nella sostanza un processo al poeta e a tutta la sua opera precedente.

Il ritmo narrativo
La particolare importanza di questo capitolo, decisivo nella vicenda della Vita nuova, è sottolineata dal ritmo particolarmente lento con cui procede la narrazione, che alterna momenti descrittivi a battute di discorso diretto. L’attenzione del narratore si sofferma prima sull’identità (come sempre appena accennata) delle donne incontrate per caso dal poeta-amante [1]; poi sullo stato d’animo di quest’ultimo, rasserenato dal fatto che tra queste donne non ci sia Beatrice [2]; poi ancora sui diversi atteggiamenti delle donne riunite tra loro, divise tra quante manifestano apertamente e quante dissimulano la loro curiosità nei confronti di Dante [3]. Finalmente l’inquadratura si sposta su una delle donne, che rivolge al poeta la domanda fondamentale su quale sia la natura del suo amore per Beatrice [4]; segue un momento di attesa per la risposta [5]. La risposta arriva [6]: Dante proclama di essere passato da un desiderio di ricompensa da parte di Beatrice (nel cui saluto egli riponeva la propria beatitudine) a un amore più elevato, disinteressato e indipendente da eventi esteriori. Questa risposta, però, non scioglie affatto la tensione narrativa. La scena continua infatti con una nuova inquadratura sulle donne, di cui è facile intuire la perplessità [7]; segue una seconda domanda, che costringe Dante a precisare in modo inequivocabile in cosa consista questa nuova fonte di beatitudine [8]. La nuova risposta [9] non solo non scioglie le perplessità, ma vale a denunciare l’incoerenza tra quanto il poeta-amante ha appena affermato e tutta la sua precedente attività letteraria. Da qui la “condanna” pronunciata dalla gentile donna che fa da portavoce a tutte le altre [10]. Ma questa “condanna” è il presupposto della conversione del poeta-amante: Dante, colto in fallo dalla donna gentile, è ora in preda a un sentimento di vergogna [11]. Maturerà così una nuova fase della sua poesia, finalmente fedele all’intenzione dichiarata di concentrarsi sulla lode di Beatrice [12]. La tensione non si scioglie però nemmeno alla fine del capitolo, che si chiude su una condizione di attesa: per «alquanti dì» il poeta-amante esiterà, per «paura di cominciare», a dar seguito al suo «desiderio di dire».

Il significato della conversione
Ciò che caratterizza la nuova poetica che Dante intende ora seguire è l’assoluta centralità tematica della lode della donna, con esclusione sia dei tormenti del poeta, sia di qualsiasi desiderio di ricompensa per il suo amore. Quando Dante dichiara, sebbene ancora prematuramente, che la sua beatitudine dovrà risiedere «in quello che non mi puote venire meno» [6], prefigura il passaggio a una seconda fase dell’amore per Beatrice, ormai svincolata dai canoni dell’amore cortese, il quale non era mai del tutto alieno dalla ricerca una ricompensa (e sia pure una ricompensa immateriale come il saluto della donna).
Quest’amore disinteressato trova un precedente nella teorizzazione di Cicerone (De amicitia), ma presenta anche significative analogie con l’amore sacro di cui parlano i mistici.
Applicando alla Vita nuova l’analisi di Singleton (che ha mostrato la stretta analogia tra le fasi dell’amore per Beatrice e gli stadi dell’amore mistico dell’anima per Dio), si può dire che Dante abbia ormai compreso che la beatitudine non deve essere cercata extra nos, non deve cioè dipendere da un evento esterno e concretarsi in una ricompensa, ma deve scaturire tutta dal di dentro («quello che non mi puote venire meno»). Si tratta del secondo stadio dell’ascesa mistica: l’amore per Dio è ora frutto di una profonda esperienza interiore (intra nos), e trova in se stesso il proprio compenso.

Il senso dell’attesa
Il capitolo insiste però, come si è visto, sulla discrepanza tra le intenzioni di Dante e i suoi comportamenti concreti. La sospensione narrativa non è senza significato: una cosa è comprendere la necessità di chiudere i conti con la precedente fase della propria esperienza poetica; cosa diversa è riuscire ad addentrarsi nel territorio ancora ignoto di una «troppo alta matera». Non a caso qui Dante sottolinea la propria inadeguatezza: le nuove rime, infatti, non potranno scaturire semplicemente da un suo atto di volontà. Sarà necessaria una diversa e più alta ispirazione (di natura divina), dalla quale il poeta-amante uscirà profondamente trasformato; maturerà cioè quella consapevolezza che, nei capitoli precedenti, apparteneva solo al narratore della Vita nuova. Le distanze tra poeta e narratore, a questo punto del «libello», si accorciano decisamente: ciò è frutto di una fondamentale maturazione del poeta-amante. Dante è ormai vicino a una poesia nella quale sentimento amoroso, conoscenza intellettuale e moralità non entrino più in conflitto tra loro, ma arrivino a un’originale sintesi che consenta, finalmente, di risolvere le tensioni e le contraddizioni intrinseche alla cultura stilnovistica.