G13a
Dante Alighieri
Gli effetti del passaggio di Beatrice
Vita nuova cap. XXVI

[Vita nuova, cap. XXVI] 1. Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole1, venne in tanta grazia de le genti2, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea. 2. E quando ella fosse presso d’alcuno, tanta onestade3 giungea nel cuore di quello, che non ardia di4 levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì come esperti, mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse5. 3. Ella coronata e vestita d’umilitade s’andava, nulla gloria mostrando di ciò ch’ella vedea e udia6. 4. Diceano molti, poi che passata era: «Questa non è femmina7, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo». 5. E altri diceano: «Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare8!». 6. Io dico ch’ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere non lo sapeano9; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare10. 7. Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente11: onde io pensando a ciò, volendo ripigliare lo stilo de la sua loda12, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere de13 le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sensibilemente vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere14. 8. Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile.




1 di cui… parole: di cui si è parlato nelle poesie precedenti.

2 venne… genti: giunse al punto (venne) di <ricevere> tanta ammirazione (grazia) dalla gente (genti, francesismo). De Robertis spiega «grazia» come «sentimento complesso di favore, benevolenza, ammirazione, gradimento».

3 tanta onestade: tanta virtù.

4 non ardia di: non osava.

5 e di questo… credesse: e di questo molti, avendone avuto esperienza (sì come esperti), mi potrebbero rendere testimonianza davanti a chi non lo credesse.

6 Ella… udia: Ella procedeva chiusa in se stessa (s’andava), adorna (coronata e vestita, metafora) d’umiltà, senza mostrare orgoglio (nulla gloria mostrando) di ciò che vedeva e udiva. L’eccellenza della donna si manifesta anche nell’assenza di qualsiasi superbo compiacimento per i sentimenti di ammirazione da lei destati.

7 non è femmina: non è una donna comune. Il sostantivo «femmina» indica la donna nel significato di essere umano di sesso femminile, mentre «donna» (termine usato nel sonetto [G13b]) ha il significato di signora del cuore.

8 che benedetto… adoperare: che sia benedetto il Signore, che sa (sae, forma con epitesi) operare in modo così miracoloso (sì mirabilemente)! Attraverso la lode di una creatura, Beatrice, si passa alla lode del creatore: in tal senso, questo capitolo sembra rinviare alla spiritualità francescana.

9 Io dico…sapeano: Io dico che essa si mostrava di animo così nobile (sì gentile) e così colma di tutte le bellezze (piaceri), che coloro che la ammiravano concepivano (comprendevano) in se stessi una dolcezza pura e soave, tanto che non erano in grado di spiegare ciò (lo) a parole (ridicere). Il sentimento destato da Beatrice è insomma ineffabile.

10 né alcuno… sospirare: e non vi era nessuno che potesse guardare lei, al quale non fosse necessario (convenisse) sospirare sin dal primo momento (nel principio). Il tema dei sospiri è tradizionale, ma esso assume un nuovo significato all’interno della poetica della lode: nel sonetto Ne li occhi porta la mia donna Amore [G10] Dante attribuisce infatti i sospiri non a semplice turbamento amoroso, ma al pentimento dei propri peccati indotto dalla visione beatificante di Beatrice.

11 Queste… virtuosamente: Questi effetti (cose) e <altri> più miracolosi (mirabili) derivavano (procedeano) da lei grazie alla sua virtù (virtuosamente).

12 volendo… loda: volendo riprendere lo stile poetico della lode; i capitoli precedenti avevano infatti trattato un tema diverso dalla lode di Beatrice.

13 dessi a intendere de: spiegassi.

14 acciò che… intendere: affinché (acciò che) non solo (non pur) coloro che la potevano vedere con i sensi (sensibilemente), ma <anche> gli altri sappiano di lei quello che le parole possono far capire. Mentre annuncia di voler riprendere, trattando di Beatrice, lo «stilo de la sua loda», il narratore avverte subito che le parole non possono esprimere compiutamente le sue virtù.



La prosa di questo capitolo, che introduce il sonetto più famoso della Vita nuova, ha in primo luogo la funzione di annunciare la ripresa della poetica della lode, inaugurata con Donne ch’avete intelletto d’amore [G8b], ma che era stata temporaneamente accantonata per trattare temi differenti [G11a-G11b]. È fondamentale notare il fatto che Beatrice non viene contemplata solo con gli occhi di Dante, ma con quelli di una generalità di uomini, che il narratore chiama come testimoni degli effetti miracolosi del suo passaggio [2] e dei quali riferisce i commenti («Diceano molti…» [4]; «E altri diceano…» [5]). Si riproduce qui «uno schema tipico della prosa evangelica (e in particolare del Vangelo di Giovanni) a proposito delle diverse opinioni sulla natura di Cristo e i suoi prodigi» (De Robertis). La lode di Beatrice non è dunque presentata come opinione soggettiva dell’amante, ma come evento corale, prodotto dall’oggettiva, e da tutti riconosciuta, virtù della donna.
Il narratore è uno di questi estatici spettatori; l’ammirazione delle «genti» per Beatrice produce in lui «mirabile letizia» [1], a conferma della distanza ormai raggiunta da ogni concezione individualistica dell’amore. È questa la seconda volta che, nella Vita nuova, Dante usa il termine «letizia» con riferimento a se stesso. Come si è già visto [G8a] si tratta di un termine dalla forte connotazione religiosa, che nel Salmo L è oltretutto collegato al tema della salus, ossia della salvezza dell’anima («Redde mihi laetitiam salutaris tui» [«Rendimi la letizia della tua salvezza»], v. 13).
È su questa fitta trama di rimandi scritturali che si innesta il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare [G13b]. La prosa presenta in sostanza gli stessi temi del sonetto. Incontriamo nell’ordine:
a) gli effetti che il passaggio della donna produce nel cuore di chi la contempla [1-2];
b) l’atteggiamento di concentrazione interiore e di «umiltà» della donna [3];
c) la definizione della sua natura miracolosa [4-5], affidata come si è visto alla voce dei contemplanti;
d) di nuovo gli effetti che il passaggio della donna produce nel cuore di chi la contempla, con insistenza sull’impossibilità di rappresentarli compiutamente a parole [6].
Astraendo dagli ultimi due paragrafi [7-8], che fungono più che altro da introduzione al sonetto, si può quindi notare come la prosa sia costruita in modo da convergere intorno al suo centro. Tra le reazioni dei contemplanti, disposte simmetricamente all’esterno come due quinte di teatro [1-2; 6], si incastra infatti la duplice sequenza centrale [3; 4-5]. Centro e periferia sono differenziati anche dalla struttura sintattica: al centro prevalgono le esclamative e il discorso diretto, mentre sono più deboli i legami ipotattici; nel resto della prosa, invece, la sintassi è quasi sempre di tipo consecutivo. L’importanza di quest’ultima osservazione potrà essere meglio chiarita soltanto attraverso lo studio del sonetto [G13b].




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