F9
Folgòre da San Gimignano
Di maggio

Di maggio sì vi do molti cavagli,
e tutti quanti sieno affrenatori,
portanti tutti, dritti corritori;
pettorali e testiere di sonagli,

bandiere e coverte a molti intagli
e di zendadi di tutti colori;
le targe a modo delli armeggiatori;
vïuole e rose e fior, ch’ogn’uom v’abbagli1;

e rompere e fiaccar bigordi e lance,
e piover da finestre e da balconi
in giù ghirlande ed in su melerance2;

e pulzellette e giovani garzoni
baciarsi nella bocca e nelle guance;
d’amor e di goder vi si ragioni3.




1 Di maggio… abbagli: A (Di) maggio allo stesso modo (; il testo appartiene a una collana di sonetti dedicati ad ogni mese; la formula «sì vi do» ricorre in molti di essi) vi auguro di avere (do) molti cavalli, e possano essere (siano, con valore desiderativo) tutti quanti docili al freno (affrenatori), tutti capaci di camminare a piccoli passi rapidi (portanti: il “portante” è un’andatura del cavallo) e tutti veri (dritti) corridori; <vi auguro di avere> finimenti per il petto e per la testa (pettorali e testiere) <adorni> di sonagli, bandiere e gualdrappe (coverte) con molti intagli, e <fatte> di tessuti fini (zendadi) di tutti <i> colori; <vi auguro di avere> gli scudi (le targe) come quelli di chi partecipa ai tornei d’arme (a modo delli armeggiatori); <vi auguro di avere> viole, rose e <altri> fiori, <tanto> che ogni uomo ne sia abbagliato (v’abbagli; il «vi» non va inteso come pronome personale, ma come dimostrativo: a causa di ciò).

2 e rompere… melerance: e <auguro che> aste (bigordi) e lance si rompano e spezzino <nel torneo> (gli infiniti rompere e fiaccar possono dipendere grammaticalmente dal verbo «do» del v. 1; ma è tipico dei sonetti di Folgòre, nelle terzine, l’accumulo di infiniti asintattici, cioè privi di rigorosi rapporti con un verbo reggente), e che cadano (piover, metafora) dalle finestre e dai balconi ghirlande <lanciate> verso il basso (in giù) e melarance lanciate verso l’alto (in su). Il lancio, da parte del pubblico, di fiori e frutti dai colori vivi (che venivano gettati verso l’alto per poi “piovere” a terra) costituisce la cornice festosa del torneo descritto nella prima terzina.

3 e pulzellette… vi si ragioni: e <auguro che> le fanciulle (pulzellette) e i giovani ragazzi (garzoni) si bacino sulla bocca e sulle guance; lì (vi, da intendersi come avverbio di luogo) si parli (ragioni) di amore e di godimento.



Livello metrico
Sonetto con rime incrociate nelle quartine e alternate nelle terzine. Lo schema è ABBA, ABBA; CDC, DCD.

Livello lessicale, sintattico e stilistico
Sintatticamente il testo è retto interamente dal verbo «do» del v. 1, che indica il “dono” augurale che il poeta fa alla brigata di giovani cortesi e raffinati ai quali si rivolge. Molti versi sono quindi occupati solo da sostantivi ed aggettivi che costituiscono i complementi oggetto del verbo reggente; sono pochi i verbi di modo finito, sempre in proposizioni subordinate, e sempre al modo congiuntivo con valore desiderativo (v. 2, v. 8, v. 14). Valore desiderativo assumono anche i numerosi infiniti che si presentano nelle terzine (vv. 9-10, v. 13). L’assenza, a parte il primo verso, di un qualsiasi modo verbale della realtà crea un’atmosfera sospesa, atemporale, alla quale concorrono soprattutto gli infiniti delle terzine (che sintatticamente potrebbero dipendere dall’ormai lontano «do», ma che è possibile interpretare anche come asintattici; cfr. nota ). Quella di Folgòre è una sintassi della contemplazione, del sogno, in cui ciascun oggetto o ciascuna situazione si presenta con efficacia alla vista del lettore, catturandone l’attenzione e mettendo in secondo piano i rapporti di dipendenza logica.

Livello tematico
La prevalenza di sostantivi e infiniti struttura il sonetto come un testo essenzialmente descrittivo, che obbedisce ai canoni del plazer provenzale (elenco di cose piacevoli e desiderabili). Il testo appartiene a una corona di quattordici sonetti, dedicata a una «brigata nobile e cortese», che ha come oggetto i divertimenti e i piaceri che più si addicono a ciascun mese dell’anno. Notevole, più ancora che l’esattezza tecnica da esperto di ippica di cui il poeta dà prova nella prima quartina, è l’attenzione per i colori, per i movimenti festosi della magnifica manifestazione sportiva (il torneo d’arme), tratteggiati per semplici linee orizzontali (lo scontro frontale di «bigordi e lance», v. 9) e verticali (il getto festoso di «ghirlande» e «melerance», v. 11). Un’atmosfera gioiosa e spensierata che culmina nell’innocente abbandono ai sensi dei giovani, nel loro «baciarsi nella bocca e nelle guance» (v. 13) fissato sulla pagina dall’immobilità atemporale dell’infinito. La poesia di Folgòre è radicata, più che nella realtà comunale, in quella della tramontante civiltà cortese e cavalleresca (Folgòre stesso era stato ordinato cavaliere). Tuttavia si è concordi nell’inserire Folgòre tra i “comici”, ai quali lo avvicinano la precisione dei particolari e il gusto figurativo rivolto a una realtà viva e quotidiana. Anche se non rappresenta mai una materia plebea o sboccata come quella cantata da Rustico o da Cecco, Folgòre partecipa più della loro concretezza che non del gusto per la rarefatta stilizzazione che caratterizza la poesia stilnovistica. Ma la vicinanza di Folgòre al gusto comico sta anche in altro: sta nella sensualità, nel gusto del piacere laico e mondano. Un piacere raffinato, che nella sua poesia viene spesso idealizzato dalla nostalgia; ma che non è certo spiritualizzato, o inserito in una trama di solida cultura filosofica, come avveniva per gli stilnovisti.




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