A8
Fulgenzio
L'allegoria dell'Eneide
Expositio vergilianae continentiae 151-152

1. Nel secondo e nel terzo libro Enea è attratto dalle favole, da cui la garrulità dei fanciulli è solita lasciarsi attrarre. Perciò alla fine del terzo libro vede i Ciclopi1 mostratigli da Achemenide2 […].
2. Il motivo dell’occhio sulla testa sta nel fatto che il Ciclope non vede e non capisce nulla, se non in maniera arrogante. Il fatto che Ulisse, il più saggio, glielo accechi significa che la vanagloria è accecata dal fuoco dell’intelletto. E lo abbiamo chiamato Polifemo, come dire apolunta femen3 (noi diciamo in latino: «che perde la sua fama»). Dunque alla baldanza della giovinezza4 e alla perdita del buon nome consegue la cecità propria di quell’età. Infatti, perché si chiarisca in modo evidente l’ordine delle cose, proprio allora Enea seppellisce il padre5: infatti l’età giovanile, via via che cresce, respinge il peso dell’autorità paterna. Ecco perché la sepoltura avviene nel porto di Drepano6: Drepano infatti è come dire drimipedos, perché drimos significa «acerbo», pes indica invece il fanciullo. Il motivo è che l’acerbità giovanile respinge la disciplina paterna.
3. Liberato dunque l’animo dal giudizio paterno, nel quarto libro Enea si dà alla caccia e si accende d’amore e, tra le nubi e la tempesta7 (come dire «in una perturbazione della mente») è spinto a commettere adulterio.
4. Rimasto a lungo in questo stato, per incitamento di Mercurio lascia l’amore cui la sua passione aveva purtroppo ceduto. Mercurio infatti è inteso come dio dell’intelligenza. Dunque quell’età, incitata dall’intelletto, abbandona i territori dell’amore. E l’amore muore disprezzato e, bruciato, finisce in cenere: infatti, quando l’autorità della mente espelle la passione dal cuore giovanile, essa, sepolta nell’oblio, si consuma in cenere.





1 Ciclopi: mostri mitologici, di enorme statura e con un solo occhio nel mezzo della fronte. Famoso è l’episodio dell’Odissea in cui Ulisse inganna e acceca il ciclope Polifemo.

2 Achemenide: compagno di Ulisse, da lui abbandonato in Sicilia e successivamente salvato da Enea.

3 apolunta femen: questa etimologia, come la successiva sul nome della località di Drepano, è desunta dal greco, lingua conosciuta peraltro in modo alquanto approssimativo durante il Medioevo.

4 baldanza della giovinezza: quest’atteggiamento psicologico è rappresentato allegoricamente da Enea che si lascia attrarre dalle favole.

5 proprio allora… il padre: la morte di Anchise, padre di Enea, è raccontata alla fine del terzo libro.

6 Drepano: è la località in cui era morto Anchise; corrisponde all’odierna Trapani.

7 tra le nubi e la tempesta: nel quarto libro si narra che, durante una battuta di caccia, Enea e Didone sono sorpresi da un temporale. Si rifugiano insieme in una grotta e lì divengono amanti.



Nell’opera di Fulgenzio si immagina che Virgilio prenda la parola per spiegare il vero significato dell’Eneide. Il poema non viene visto come il prodotto di una cultura pagana da respingere e condannare, ma appare carico di significati morali che anticipano l’etica cristiana. Anche nel brano che abbiamo esaminato è lo stesso Virgilio che illustra il significato dei libri III e IV del suo poema.
Secondo questa nuova chiave di lettura, i personaggi presenti in questi libri assumono dei connotati nuovi: Enea, attratto dalle favole, rappresenta la credulità giovanile; Polifemo privo di un occhio rappresenta la vanagloria che si accompagna a quell’età, la sua cecità intellettuale, la perdita del buon nome; Ulisse che acceca il Ciclope è l’intelletto che si contrappone alla vanagloria; la morte di Anchise rappresenta la ribellione dei giovani all’autorità paterna; le nubi e la tempesta che accompagnano l’innamoramento di Enea e Didone raffigurano la «perturbazione della mente» propria dei giovani, pronti ad abbandonarsi ai sensi; ma in età più tarda la passione, rivista criticamente alla luce dell’intelletto (Mercurio), viene allontanata e finisce per consumarsi. Il rogo in cui brucia Didone rappresenta quindi l'intelletto che brucia la vana passione.
In questa prospettiva passa in secondo piano la lettera del racconto: tutto è assorbito dal significato allegorico, e anche gli episodi più lontani da una visione ascetica (come l’amore tra Enea e Didone) vengono forzatamente ricondotti alla morale cristiana. La stessa morte di Didone perde molto della sua tragicità per trasformarsi nell’allegorico trionfo della ragione sul cuore.
Il discorso di Fulgenzio rappresenta appieno la tendenza, diffusa nella cultura medievale, ad attribuire alla letteratura (ma anche a ogni altro aspetto della realtà) significati morali e trascendenti. Letteratura e realtà naturale contengono sempre segni e indizi di una realtà superiore. Non sorprende che, in questa prospettiva, i classici pagani potessero essere considerati degli inconsapevoli anticipatori del cristianesimo. Per questa via si compie anzi quella appropriazione della cultura classica che era stata contrastata dai primi padri della Chiesa [A6], ma di cui già Agostino [A7] aveva segnato la strada. L’appropriazione dei classici passa però attraverso un’interpretazione forzata degli stessi, necessaria per adattarli alla nuova cultura. Per Fulgenzio il viaggio di Enea finisce per rappresentare la vicenda dell’anima, che arriva alla salvezza attraverso prove ed ostacoli. Illustrazione esemplare di quest’atteggiamento sarà la lettura profetica che il Medioevo darà della IV Ecloga di Virgilio, interpretata come annuncio della futura nascita di Cristo.
Accanto all’interpretazione allegorica Fulgenzio utilizza ampiamente l’etimologia. Fedele al principio secondo cui «nomina sunt consequentia rerum», egli interpreta (in modo alquanto fantasioso) i nomi «Polifemo» e «Drepano», attribuendo ad essi un significato funzionale alla sua lettura del poema. L’Eneide viene presentata dunque come un’opera polisemica, la cui compiuta comprensione appare possibile solo a chi abbia coscienza della rivelazione cristiana. Si tratta di una prospettiva che verrà messa radicalmente in discussione solo dall’Umanesimo.




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