A6
Girolamo
La poesia, cibo dei diavoli
Lettera XXI

1. Sono cibo dei diavoli i carmi dei poeti, la sapienza mondana e la pompa dei discorsi retorici. Tutte queste cose dilettano con la loro dolcezza e, mentre catturano l’orecchio con versi dolcemente modulati, penetrano anche l’anima e avvincono l’intimità del cuore.
2. In realtà, quando siano stati letti fino in fondo con grande attenzione e fatica, ai loro lettori non offrono altro che vacuo suono e rumor di parole. Non saziano con la verità, non ristorano con la giustizia. Chi li studia resta affamato di verità e povero di virtù.
3. Il tipo di questa saggezza1 è descritto nel Deuteronomio sotto la figura di una donna prigioniera. La voce di Dio ordina che, se un israelita vuol prenderla in sposa, deve prima rasarla, tagliarle le unghie, depilarla e, una volta che sia stata purificata, solo allora potrà passare agli amplessi del vincitore.
4. Se prendiamo la cosa alla lettera, non sembra ridicola2?
5. Eppure anche noi siamo soliti fare questo, quando leggiamo i filosofi, quando ci vengono in mano i libri della sapienza mondana. Se in essi troviamo qualcosa di utile, lo interpretiamo secondo il nostro dogma3; se invece vi troviamo qualcosa di superfluo, che riguarda gli idoli, l’amore, la cura dei beni mondani, allora depiliamo, rasiamo, tagliamo con ferro acutissimo come si fa con le unghie4.




1 Il tipo di questa saggezza: la natura di questa conoscenza profana.

2 Se… ridicola: il passo del Deuteronomio può essere inteso correttamente solo applicando l’interpretazione allegorica.

3 secondo il nostro dogma: tipica del Medioevo è la rilettura in chiave cristiana della filosofia, e più in generale della cultura classica.

4 depiliamo… unghie: queste espressioni indicano, allegoricamente, la necessità di purificare la sapienza classica da tutto ciò che non è conciliabile con il cristianesimo.



La condanna della cultura classica da parte di S. Girolamo è a prima vista totale. Ad una lettura superficiale della lettera, infatti, non sembra intravedersi alcuna possibilità di vera conoscenza che possa nascere dallo studio dei testi pagani, la cui dolcezza è puramente illusoria, poiché essi non contengono alcuna verità. Il concetto è espresso attraverso la metafora del cibo: la cultura classica è «cibo dei diavoli»; non sazia e non ristora chi che le si avvicina, condannandolo a rimanere «affamato di verità e povero di virtù» (1, 2).
Il richiamo biblico al Deuteronomio (3) sembrerebbe rafforzare questa irrevocabile condanna. Ma da questa citazione trapela anche l’implicita possibilità di un parziale recupero della cultura classica: un israelita può prendere in sposa la donna prigioniera, purché prima l’abbia purificata. Quest’affermazione, dunque, finisce per limitare la portata della precedente condanna (1, 2). Girolamo, del resto, è una figura complessa e contraddittoria: è un sostenitore della superficialità e inadeguatezza della cultura classica, ma al tempo stesso è anche un profondo conoscitore di essa. Egli legge i testi sacri ebraici nella lingua originale, ma li considera rozzi rispetto alle opere latine, verso le quali prova una profonda ammirazione.
La figurazione della donna prigioniera ha dunque un preciso significato allegorico (5): lo studio della sapienza profana è consentito, a patto che in essa si sappia trovare ciò che in qualche modo anticipi il Verbo stesso, eliminando quindi dalla cultura classica tutto ciò che riguarda «gli idoli, l’amore, la cura dei beni mondani» e interpretando tale cultura alla luce dei dogmi della fede cristiana. Si intravede qui la tendenza a recuperare la classicità, interpretandola come una anticipazione imperfetta del cristianesimo, peculiarità dominante del classicismo medievale.




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