I9
Giovanni Boccaccio
Il proemio, la dedica e il peccato della fortuna
Decameron Proemio

[Decameron, Proemio] COMINCIA IL LIBRO CHIAMATO DECAMERON, COGNOMINATO PRENCIPE GALEOTTO, NEL QUALE SI CONTENGONO CENTO NOVELLE IN DIECE DÌ DETTE DA SETTE DONNE E DA TRE GIOVANI UOMINI1.
1. Umana cosa è aver compassione degli afflitti2: e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richesto li quali già hanno di conforto avuto mestiere e hannol trovato in alcuni; fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o già ne ricevette piacere, io sono uno di quegli3. Per ciò che, dalla mia prima giovanezza infino a questo tempo oltre modo essendo acceso stato d’altissimo e nobile amore, forse più assai che alla mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo, si richiedesse, quantunque appo coloro che discreti erano e alla cui notizia pervenne io ne fossi lodato e da molto più reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica a sofferire, certo non per crudeltà della donna amata, ma per soverchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito4: il quale, per ciò che a niuno convenevole termine mi lasciava contento stare, più di noia che bisogno non m’era spesse volte sentir mi facea5. Nella qual noia tanto rifrigerio già mi porsero i piacevoli ragionamenti d’alcuno amico e le sue laudevoli consolazioni, che io porto fermissima opinione per quelle essere avenuto che io non sia morto6. Ma sì come a Colui piacque il quale, essendo Egli infinito, diede per legge incommutabile a tutte le cose mondane aver fine, il mio amore, oltre a ogn’altro fervente e il quale niuna forza di proponimento o di consiglio o di vergogna evidente, o pericolo che seguir ne potesse, aveva potuto né rompere né piegare, per se medesimo in processo di tempo si diminuì in guisa, che sol di sé nella mente m’ha al presente lasciato quel piacere che egli è usato di porgere a chi troppo non si mette ne’ suoi più cupi pelaghi navigando; per che, dove faticoso esser solea, ogni affanno togliendo via, dilettevole il sento esser rimaso7.
2. Ma quantunque cessata sia la pena, non per ciò è la memoria fuggita de’ benifici già ricevuti, datimi da coloro a’ quali per benivolenza da loro a me portata erano gravi le mie fatiche; né passerà mai, sì come io credo, se non per morte8. E per ciò che la gratitudine, secondo che io credo, trall’altre virtù è sommamente da commendare e il contrario da biasimare, per non parere ingrato ho meco stesso proposto di volere, in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti, ora che libero dir mi posso, e se non a coloro che me atarono, alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abisogna, a quegli almeno a’ quali fa luogo, alcuno alleggiamento prestare9. E quantunque il mio sostentamento, o conforto che vogliam dire, possa essere e sia a’ bisognosi assai poco, nondimeno parmi quello doversi più tosto porgere dove il bisogno apparisce maggiore, sì perché più utilità vi farà e sì ancora perché più vi fia caro avuto10.
3. E chi negherà questo, quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare11? Esse dentro a’ dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno che l’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri12. E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopraviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere; il che degli innamorati uomini non avviene, sì come noi possiamo apertamente vedere13. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare a torno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare14: de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o consolazion sopraviene o diventa la noia minore15.
4. Adunque, acciò che in parte per me s’amendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago e ’l fuso e l’arcolaio, intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistelenzioso tempo della passata mortalità fatta, e alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto16. Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti si vederanno così ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi17; delle quali le già dette donne, che queste leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire18. Il che se avviene, che voglia Idio che così sia, a Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto il potere attendere a’ lor piaceri19.




1 Comincia… uomini: il proemio è aperto dalla rubrica (dal latino ruber, colore con cui si scrivevano a Roma i titoli delle leggi), che qui funge da sommario dell’intera opera. Ne viene indicato anzitutto il titolo, Decameron (ossia di dieci giorni, dal greco deka, che significa dieci, ed emeròn, genitivo plurale da emèra, che significa giorno); segue il numero complessivo delle novelle (cento) e quello dei narratori (dieci): sette donne (Pampinea, Filomena, Neifile, Fiammetta, Elissa, Lauretta, Emilia) e tre uomini (Filostrato, Dioneo, Panfilo). Il libro è soprannominato «Principe Galeotto» in quanto, per le tematiche trattate, si propone come mezzano d’amore alla maniera di Galeotto (il siniscalco della regina Ginevra che la convinse a baciare Lancillotto tradendo il marito Artù); chiaro è il riferimento al canto V dell’Inferno [DIV4].

2 Umana… afflitti: E’ umano mostrare compassione verso coloro che soffrono. L’opera si apre, secondo l’uso retorico medievale, con una massima morale.

3 e come…quegli: e benché (come che) <la compassione> sia richiesta (stea bene) a qualsiasi uomo, soprattutto (massimamente) è richiesta a coloro i quali hanno avuto bisogno (mestiere) del conforto, e lo hanno (hannol) trovato negli altri (in alcuni): e fra questi (fra’ quali), se c’è qualcuno (alcuno mai) che ne ebbe bisogno, o al quale <il conforto> fu prezioso (caro), o che ne ha ricevuto piacere, io sono uno di questi (quegli). Il narratore stesso, che in passato ha avuto bisogno di consolazione, si sente ora in dovere di offrirla a sua volta agli «afflitti».

4 Per ciò che… appetito: Per cui (Per ciò che), essendo stato <io> molto (oltre modo) infiammato (acceso) di altissimo e nobile amore dalla mia prima giovinezza fino ad oggi (infino a questo tempo), forse molto di più di quanto sembrerebbe (non parrebbe) che fosse conveniente (si richiedesse) all’umile condizione di me che narro (narrandolo), sebbene io fossi lodato di ciò (ne) e maggiormente stimato (da molto più reputato) da parte di (appo, dal lat. apud, lett. presso) coloro che avevano giusto discernimento (discreti erano) e che ne furono a conoscenza (alla cui notizia pervenne), tuttavia <quest’innamoramento> fu per me difficilissimo (di grandissima fatica) da tollerare (sofferire), non certo per la crudeltà della donna amata, ma per una eccessiva passione (soverchio fuoco) concepita (concetto) nella mente da uno smodato desiderio (poco regolato appetito). La sintassi complessa è una delle caratteristiche del Decameron ed è particolarmente sostenuta in questo brano che, per la sua posizione proemiale, deve obbedire alle regole della retorica.

5 il quale… facea: il quale <innamoramento>, dal momento che mai (a niuno convenevol termine) mi faceva essere soddisfatto (contento), mi faceva spesse volte provare più dolore (noia, secondo l’accezione del termine diffusa del tempo) di quanto mi fosse necessario (che bisogno non m’era).

6 Nella qual noia… che io non sia morto: E in questa sofferenza (Nella qual noia) allora (già) i piacevoli racconti (ragionamenti) di qualche amico e le sue consolazioni degne di lode (laudevoli) mi offrirono tanto sollievo (refrigerio) che io sono fermamente convinto che sia stato grazie ad essi (per quelle essere avenuto) che io non sia morto.

7 Ma, sì… rimaso: Ma, così come piacque a Colui che, essendo infinito, stabilì con una legge che non ammette eccezioni (incommutabile) che tutte le cose terrene (mondane) avessero una fine, il mio amore (soggetto del lungo periodo), fervente più di qualunque altro, e che (il quale, complemento oggetto dei verbi «rompere» e «piegare») nessuna forza <che nascesse> da un proponimento, da un consiglio, o dalla vergogna evidente, oppure da un pericolo che ne potesse scaturire (che seguir ne potesse) aveva potuto né far cessare né far diminuire (né rompere né piegare), da solo (per se medesimo), nel tempo successivo (in processo di tempo), diminuì in maniera tale (in guisa), che <di esso> nella mia mente è rimasto solamente quel piacevole ricordo (piacere) che esso è solito dare a chi non si mette a navigare troppo a lungo nei suoi mari più profondi (cupi pelaghi): per cui, mentre prima era doloroso (dove faticoso esser solea), ora che è privato di ogni affanno (ogni affanno togliendo via) sento che è divenuto piacevole (dilettevole il sento esser rimaso). Mentre l’amore, quando veniva vissuto, era pieno di affanni, adesso che è semplicemente ricordato esso è divenuto piacevole.

8 Ma quantunque… fatiche: Ma sebbene la pena sia cessata, non per questo ho perduto il ricordo (è la memoria fuggita) dei benefici allora ricevuti, concessimi da coloro ai quali, per l’affetto da loro provato nei miei confronti (per benivolenza da loro a me portata), le mie sofferenze (fatiche) erano causa di dolore (gravi); né <il ricordo di tanta benevolenza> mai cesserà, per quel che io credo, se non a causa della morte.

9 E per ciò… prestare: E poiché (per ciò che) secondo me (secondo che io credo) tra <tutte> le altre virtù la gratitudine è da lodare (commendare) sommamente <mentre> il <suo> contrario (cioè l’ingratitudine) è da biasimare, per non apparire ingrato, ho promesso a me stesso (meco stesso proposto di volere) di prestare qualche conforto (alcuno alleggiamento prestare), per quel poco che da parte mia (per me) si può, in cambio di ciò che ho ricevuto, ora che mi posso considerare libero <dal vincolo d’amore>, e se non <posso dare questo conforto> a coloro che mi aiutarono (atarono), ai quali forse per la loro intelligenza o per la loro buona sorte non è necessario, <lo darò> almeno a coloro ai quali è necessario (fa luogo).

10 E quantunque… avuto: E sebbene il mio sostegno (sostentamento), o conforto che dir si voglia, possa essere e sia, per coloro che ne necessitano (a’ bisognosi), assai poca cosa, mi sembra nondimeno che esso (quello, ossia tale conforto) si debba porgere <proprio> dove il bisogno appare maggiore, sia perché sarà più utile, sia perché sarà accolto con maggior favore (più vi fia caro avuto). Destinatarie dell’opera saranno dunque le persone più soggette alle pene d’amore, ossia (come subito dopo si dirà) le donne.

11 E chi negherà… donare: E chi negherà che questo conforto, quale che sia il suo valore (quantunque egli si sia), si debba (convenirsi, costruzione latineggiante della proposizione oggettiva con il verbo all’infinito) donare molto più alle belle (vaghe) donne che agli uomini?

12 Esse…allegri: Esse, con timore e vergogna (temendo e vergognando), tengono nascoste nei loro delicati cuori (petti, sineddoche) le passioni amorose (l’amorose fiamme), di cui coloro che le hanno provate sanno (il sanno; il pronome è pleonastico) quanto siano più forti di quelle palesi (quanto più di forza abbian che le palesi); ed oltre a questo, essendo costrette (ristrette) dalla volontà, dai piaceri, dagli ordini (comandamenti) dei padri, delle madri, dei fratelli e dei mariti, vivono (dimorano) la maggior parte (il più) del <loro> tempo chiuse (racchiuse) nel ristretto spazio (piccolo circuito) delle loro camere, e <lo fanno> quasi sedendo in ozio, desiderando e non desiderando al tempo stesso (in una medesima ora) e rimuginando tra sé (seco rivolgendo) diversi pensieri, i quali non è probabile che siano sempre allegri. La necessità di celare la propria passione per le costrizioni che la donna subisce dall’esterno è un tema che tornerà spesso nel Decameron.

13 E se per quegli… vedere: E se a causa di <questi> pensieri (per quegli) qualche sensazione triste (alcuna malinconia), mossa da un desiderio acceso (focoso), sopraggiunge nelle loro menti, è d’obbligo (conviene) che lì persista (si dimori) con un grande dolore (noia), se non è allontanata (rimossa) da nuovi pensieri (ragionamenti): a parte il fatto che (senza che) le donne (elle) sono molto più deboli nel sopportare (a sostenere) <le pene> rispetto agli uomini; e ciò (il che) non avviene negli uomini innamorati, così come noi possiamo apertamente constatare (vedere).

14 Essi, se alcuna… attorno: Essi, se li affligge qualche sensazione triste o qualche pensiero spiacevole (gravezza di pensieri) hanno molte possibilità (modi) per alleviare (alleggiare) o far passare tutto ciò (quello), poiché a loro, se lo vogliono (volendo essi) nonmanca <la possibilità di> muoversi (l’andare attorno), ascoltare e vedere molte cose, andare a caccia di uccelli (uccellare), andare a caccia <di altri animali>, andare a pesca, a cavallo, giocare o occuparsi del commercio (mercatare).

15 de’ quali modi… la noia minore: e grazie a questi mezzi (de’ quali modi) ciascuno ha la forza di riprendere possesso, in tutto o in parte, del proprio animo (trarre… l’animo a sé) e di allontanarlo (rimuoverlo) almeno per un po’ (per alcuno spazio) di tempo dallo spiacevole (noioso) pensiero, dopodiché (appresso il quale), con un mezzo o con un altro, o ci si consola o <almeno> diminuisce il dispiacere.

16 Adunque… diletto: Dunque, affinché (acciò che) per opera mia (per me, latinismo) si rimedi alla colpa (s’amendi il peccato) della fortuna, la quale, dove vi era minor forza <d’animo>, come noi abbiamo constatato (veggiamo) <che avviene> nelle donne fragili (dilicate), qui fu più avara di aiuto (sostegno), per <offrire> soccorso e rifugio a coloro che amano, poiché per le altre sono sufficienti (è assai) l’ago e il fuso e l’arcolaio (cioè gli strumenti della tessitura e del ricamo), intendo raccontare cento novelle, o favole o parabole o narrazioni storiche se così vogliamo chiamarle (che dire le vogliamo), raccontate in dieci giorni da una nobile (onesta) brigata <composta> da sette donne e tre giovani, costituitasi (fatta) nel periodo dell’ultima epidemia di peste (nel pistelenzioso tempo della passata mortalità), e <intendo riferire> alcune canzonette cantate a loro piacere (diletto) dalle predette donne. Il Proemio distingue tra «novelle» (narrazioni di argomento vario), «favole» (modellate sui fabliaux dei francesi), «parabole» (racconti di argomento morale) e «istorie» (narrazioni a sfondo storico).

17 Nelle quali… antichi: E in queste novelle (Nelle quali novelle) si vedranno piacevoli e tragici (aspri) casi d’amore e altri avvenimenti avventurosi (fortunati) accaduti nei tempi moderni come in quelli antichi.

18 delle quali… da seguitare: e da esse (delle quali) le suddette donne che le (queste, complemento oggetto) leggeranno, potranno trarre allo stesso modo (parimente) diletto per le piacevoli vicende (delle sollazzevoli cose) in esse narrate (mostrate) e utile ammaestramento, in quanto potranno conoscere ciò che sia da evitare e ciò che sia allo stesso modo <un esempio> da seguire (seguitare); cose entrambe che credo non possano accadere (intervenire) senza sollievo degli affanni (passamento di noia).

19 Il che se avviene… a’ lor piaceri: E se questo avviene, e Dio voglia che sia così, ringrazino Amore il quale, liberandomi dai suoi legami, mi ha permesso (conceduto) di potere (il potere) occuparmi dei loro svaghi (attendere a’ lor piaceri).



Il Proemio del Decameron, secondo l’uso della narrativa medievale, indica il fine dell’opera [1 - 2], il suo destinatario [3 ] e i temi che saranno in essa trattati [4]. A prendere la parola è qui il narratore principale del Decameron, che si identifica con l’autore, il quale trae spunto dalla propria esperienza biografica per spiegare le ragioni che lo hanno indotto a scrivere un libro di intrattenimento, dedicato alle donne, che tratterà i casi della vita e in particolare l’amore, realisticamente inteso in tutti i suoi aspetti.

Il fine dell’opera
[1-2]
Dare conforto a quanti soffrono è un imperativo etico per l’uomo («Umana cosa è l’aver compassione agli afflitti» [1]): il libro si apre con una massima morale di carattere universale e tutta la prima parte del Proemio è condotta in stile elevato, con una sintassi latineggiante e un’ampia prevalenza dell’ipotassi. La prima parola («Umana») assume una notevole importanza: sarà proprio l’umanità, in tutti i concreti aspetti della propria esistenza, ad essere protagonista del Decameron.
Il Proemio informa poi i lettori che l’intento di scrivere il Decameron è stato ispirato da un’esperienza personale dell’autore, e in particolare da quanto egli ha appreso circa il modo in cui si possono alleviare le pene d’amore. Egli narra di aver molto sofferto in età giovanile e di aver ricevuto sollievo da altri uomini mediante i loro «piacevoli ragionamenti». Il libro si propone, a sua volta, il fine di alleviare le pene d’amore altrui (quelle dell’autore, con il trascorrere del tempo, si sono ormai trasformate in un piacevole ricordo). L’autore, certo, non può manifestare la propria gratitudine verso chi un tempo lo ha aiutato ricambiandolo con la stessa moneta; potrà però spendere questa moneta a favore di altri, offrendo conforto a tutti coloro che ne hanno bisogno.
Non manca neanche il riferimento a Dio, conforme all’uso dell’epoca. Egli ha voluto che ogni umana cosa avesse fine con il tempo, e l’affievolirsi della personale sofferenza d’amore dell’autore rientra in questa legge universale. Nondimeno, il conforto che l’autore ha ricevuto per le proprie pene d’amore non discende da un intervento diretto di Dio. Sono stati altri uomini a consolarlo: nella visione di Boccaccio, infatti, il piano dell’agire umano è indipendente da quello della divinità.

Il destinatario
[3]
Il Decameron è dedicato a tutti coloro che soffrono le pene d’amore, ma soprattutto a coloro che più abbisognano di conforto. Si tratta soprattutto delle donne, ingiustamente recluse nelle loro case, soggette a regole e convenzioni sociali che le costringono a celare i propri sentimenti. È questo uno degli aspetti più rivoluzionari del Decameron, che pone in primo piano la donna: intorno alla sua figura si delinea un’attenta descrizione realistica della società trecentesca (che si manifesta, ad esempio, nell’elencazione dei molti svaghi concessi al sesso maschile). La donna, anche per questo, non è più frutto della fantasia poetica o figura avulsa dal mondo che la circonda, ma essere concreto e reale, inserito in una trama di rapporti familiari, sociali e di costume.

Il temi trattati [4]
Ma dedicare un’opera alle donne e qualificarla come opera piacevole poteva equivalere, nel Medioevo, a circoscriverla nell’ambito di una letteratura “minore”. L’insistenza dell’autore sul fatto che le donne per cui scrive siano quelle«che amano» serve quindi a nobilitare l’opera stessa, distinguendone il pubblico ed escludendo dai potenziali lettori chi, non provando così elevati sentimenti, può tranquillamente trascorrere il proprio tempo con l’ago, il fuso e l’arcolaio.
E l’amore, tra le tematiche delle novelle annunciate dal Proemio, assume senz’altro un ruolo fondamentale. Esso comparirà nei suoi aspetti «piacevoli e aspri»; ma comunque, felice o infelice, sarà descritto in modo realistico e mai astratto o platonico, come già lascia intuire l’accenno alle «sollazzevoli cose» che si troveranno nel libro. Tra le novelle troveranno posto anche i diversi casi della fortuna («fortunati avvenimenti»): il termine è qui da intendere come vox media (potendo indicare sia la buona che la cattiva sorte); il suo significato è del tutto laico e appare ormai lontano da quello conferitogli da Dante, che la accostava alla divina Provvidenza [DIV10]. E infatti nel Decameron la fortuna può perfino peccare; e anzi è proprio a rimedio di un «peccato della fortuna» che l’autore ha intrapreso la stesura dell’opera.
Il peccato della fortuna consiste, appunto, nell’aver posto la donna in una condizione d’inferiorità sociale che ne aggrava le sofferenze. La centralità che nel Decameron assume la donna – non più semplice oggetto dell’amore e del sentimento lirico, ma soggetto della propria avventura esistenziale – risalta anche dalla cornice in cui sono inserite le novelle. Queste ultime saranno narrate dai dieci giovani di una «onesta brigata», in cui l’elemento femminile è dominante. Di queste novelle, Boccaccio annuncia qui l’estrema varietà, qualificandole con diversi termini desunti dalla tradizione precedente: i modelli andranno di volta ricercati nel Novellino (le «novelle» propriamente dette), nei favolelli o fabliaux in versi francesi (le «favole»), negli exempla tipici della letteratura religiosa in latino del Medioevo (le «parabole») o nelle narrazioni a sfondo storico (le «istorie»). Interessante anche il fatto che i tempi in cui sono ambientate le novelle sono sia quelli moderni che quelli antichi. Se si aggiunge il fatto – non accennato nel Proemio, ma desumibile dalla lettura dell’opera – che anche lo spazio geografico di ambientazione delle novelle è molto vasto, si può avere un’idea della ricchezza e complessità del mondo boccacciano.
Attraverso questa varia e ricca narrazione si affermano i diritti alla vita e al piacere di una «onesta brigata»; se questa è la cornice in cui andranno inserite le novelle, il Proemio non dimentica di delineare lo sfondo storico in cui l’opera si situa: esso accenna infatti alla peste, che si abbatté sull’Italia nel 1348, determinando uno stravolgimento di ordine naturale sociale e morale, cui l’elemento positivo e vitale della brigata si contrappone con un contrasto fortemente rilevato [I10].




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