G31
Dante Alighieri
Il principio del conveniens
De vulgari eloquentia II, 1

[De vulgari eloquentia, II, cap. 1] […]. 2. Vediamo innanzitutto se debbano usarlo tutti i rimatori in volgare1. A guardare in superficie sembra di sì2, poiché chiunque versifichi deve ornare i suoi versi quanto può: perciò, poiché non c’è maggior ornamento del volgare illustre, sembra che qualunque versificatore debba usarlo3. 3. Inoltre, ciò che nel suo genere è ottimo, se viene mescolato a oggetti inferiori, non solo non sembra danneggiarli, ma sembra migliorarli4: perciò, se un versificatore, per quanto rozzamente scriva versi, mescola al prodotto della propria rozzezza il volgare illustre, non solo fa bene5, ma sembra necessario che faccia così: chi ha poche possibilità ha più bisogno d’aiuto di chi ne ha molte. E così sembra che a tutti i versificatori sia lecito usarlo.
4. Ma questo è sbagliatissimo6, poiché neanche i migliori poeti devono sempre indossarlo7, come si potrà capire dalla trattazione che verrà più avanti8. 5. Il volgare esige infatti uomini del proprio stesso livello, come fanno tutti gli altri nostri costumi e usanze9: e infatti la magnificenza esige persone che possono fare grandi cose10, la porpora11 esige uomini nobili; e così anche questo volgare cerca uomini eccellenti per ingegno e per sapienza e disprezza gli altri, come sarà chiarito dalla trattazione successiva. 6. Infatti, tutto ciò che a noi si addice12 ci si addice o in virtù del genere, o in virtù della specie, o in virtù dell’individuo; per esempio il provare sensazioni13, il ridere14, l’esercitare il mestiere delle armi15. Ma questo volgare illustre non ci si addice in virtù del genere, perché altrimenti dovrebbe essere adatto anche agli animali16; e nemmeno in virtù della specie, perché altrimenti dovrebbe essere adatto a tutti gli uomini, cosa questa che non è neanche da prendere in considerazione – nessuno infatti potrebbe dire che esso si addica a montanari che discutano di cose di campagna –: esso si addice dunque all’uomo in virtù della sua individualità17. 7. Ma nulla si addice a un individuo, se non in virtù delle cose di cui esso è degno18, come ad esempio il commerciare, l’esercitare il mestiere delle armi e il governare. Perciò, se la convenienza è in relazione con la dignità, cioè con le persone degne, e se alcuni possono esser degni, altri più degni ed altri degnissimi, è manifesto che le cose buone si addicono alle persone degne, le cose migliori alle persone più degne e le cose ottime alle persone degnissime. 8. E poiché la lingua è strumento necessario al nostro pensiero, non diversamente da quanto il cavallo sia necessario al soldato19; e poiché agli ottimi soldati si addicono ottimi cavalli, come si è detto, la lingua più alta sarà adatta ai pensieri più alti20. Ma non possono esserci i pensieri più alti, se non dove ci siano sapienza e ingegno: perciò la lingua più alta non si addice che a quanti possiedano sapienza e ingegno. E quindi la lingua più alta non sarà adatta a tutti i versificatori, in quanto la maggior parte di essi compone versi senza sapienza né ingegno e, di conseguenza, senza il volgare più elevato. Perciò, se non compete a tutti, non tutti devono usarlo, poiché nessuno deve agire in modo non conveniente21.
9. E quando dicevamo che ciascuno deve ornare il più possibile i propri versi, garantiamo di aver detto la verità22; ma un bue bardato da cavallo, o un maiale con i pettorali non lo consideriamo “ornato”, ma piuttosto ne ridiamo perché è deturpato23; infatti l’ornamento è l’aggiunta di qualcosa di conveniente. 10. Inoltre, quando si dice che le cose di qualità superiore, unite a quelle di qualità inferiore, conferiscono ad esse un pregio, precisiamo che ciò e vero quando non ci sia più la possibilità di distinguerle24: per esempio se uniamo l’oro con l’argento; ma se resta la possibilità di distinguerle, le cose di qualità inferiore diventano ancora più vili: come quando le belle donne si mescolano con quelle deformi. Dunque, poiché il pensiero di chi compone versi si unisce alle parole in modo da esserne sempre distinguibile25, se questo pensiero non sarà altissimo, esso, unito al più alto volgare, non apparirà migliore ma peggiore, come una donna brutta che si vesta di oro o di seta.





1 Vediamo… in volgare: il discorso ha come oggetto il volgare illustre. Dante lo ritiene degno di essere usato sia in prosa che in versi, ma inizia la trattazione dalla poesia, di cui riconosce il primato.

2 A guardare… sembra di sì: la tesi di Dante è che il volgare illustre convenga solo a temi elevati. Il capitolo comincia però dall’esposizione della tesi contraria (antitesi) e degli argomenti che sembrano sostenerla. Dante lascia subito capire, però, che tali argomenti appaiono validi solo a chi guarda in superficie (superficietenus videtur quod sic).

3 poiché… debba usarlo: primo argomento a favore dell’antitesi. Si tratta di un sillogismo: a) “tutti i poeti devono scrivere nel modo più ornato possibile” (premessa maggiore); b) “il volgare illustre è il miglior ornamento possibile” (premessa minore); c) “tutti i poeti devono usare il volgare illustre” (conclusione).

4 Inoltre… migliorarli: secondo argomento a favore dell’antitesi. Qui è enunciata la premessa maggiore del sillogismo (le cose di qualità superiore, se unite a quelle inferiori, le migliorano).

5 perciò… fa bene: è la conclusione del sillogismo. La premessa minore (“il volgare illustre è di qualità superiore a quello rozzo”) è sottintesa.

6 Ma questo è sbagliatissimo: Sed hoc falsissimum est. Prima di confutare l’antitesi, Dante afferma con forza la tesi di cui è convinto.

7 indossarlo: usarlo (metafora). Ci si riferisce sempre, ovviamente, al volgare illustre.

8 dalla trattazione che verrà più avanti: in un successivo capitolo. Dante progettava un trattato di lunghezza maggiore dei due libri (di cui il secondo incompiuto) che ci sono giunti.

9 Il volgare esige… e usanze: attraverso il verbo exigit (che indica l’atto del volere) e l’espressione sibi consimiles viros (uomini del proprio stesso livello) il volgare (indicato nel testo latino dall’aggettivo dimostrativo neutro istud) è quasi personificato, come del resto i costumi (mores) e le usanze (habitus).

10 la magnificenza… possono fare grandi cose: il termine magnificentia è composto dall’aggettivo magnus (“grande”) e dal verbo facio (“fare”). Nel testo latino è evidente il legame etimologico tra la «magnificenza» e le «grandi cose»: exigit enim magnificentia magna potentes.

11 porpora: era il colore delle tuniche dei senatori romani, e costituiva dunque un segno di distinzione sociale.

12 tutto ciò che a noi si addice: quicquid nobis convenit.

13 il provare sensazioni: questa caratteristica si addice all’uomo in quanto egli è un essere vivente dotato di anima sensitiva (in virtù del genere); essa è comune agli uomini e agli animali, anch’essi dotati di anima sensitiva.

14 il ridere: si addice all’uomo in quanto dotato di anima razionale, che lo distingue dagli animali (in virtù, dunque, della specie).

15 l’esercitare il mestiere delle armi: questa scelta si addice al singolo uomo in quanto individuo: infatti questo mestiere può essere adatto ad alcuni uomini e inadatto ad altri.

16 anche agli animali: cfr. nota .

17 si addice… della sua individualità: a conclusione della dimostrazione sillogistica viene enunciata la tesi sostenuta da Dante.

18 delle cose di cui esso è degno: dignitates; indica le qualità che rendono l’uomo adatto a esercitare certe attività.

19 e poiché la lingua… al soldato: la lingua è vista come strumento di espressione del pensiero; da qui la similitudine con il cavallo.

20 la lingua… più alti: optimis conceptionibus optima loquela conveniet. Il principio di convenienza lega indissolubilmente l’elevatezza del linguaggio all’elevatezza dei temi trattati.

21 poiché nessuno… non conveniente: quia inconvenienter agere nullus debet; è l’enunciazione, nella forma più semplice, del principio del conveniens intorno al quale si articola la tesi sostenuta da Dante.

22 E quando dicevamo… la verità: comincia la confutazione del primo argomento in favore dell’antitesi (cfr. nota ).

23 perché è deturpato: è l’applicazione estetica del principio del conveniens: un ornamento inadeguato al soggetto non è bello ma ridicolo.

24 quando… distinguerle: quando cesset discretio. La mescolanza di cose superiori con altre di qualità inferiore è ammessa se non si tratta di semplice giustapposizione, ma se viene creato un insieme nel quale non sia più possibile distinguere gli elementi di differente qualità che lo compongono.

25 si unisce… distinguibile: in poesia, secondo Dante, è sempre possibile distinguere il tema trattato dalla forma con cui lo si tratta.



Il capitolo, che apre il secondo libro del trattato, introduce un cambiamento della materia. Il primo libro aveva avuto come oggetto la definizione del volgare illustre, che Dante aveva costruito sulla base della propria riflessione linguistica. Il secondo si occuperà principalmente della lingua letteraria e dello stile. La questione da cui si parte è del resto connessa con la trattazione precedente: una volta individuato il volgare illustre, appare necessario chiarire quali scrittori possano usarlo.
Il capitolo è costruito con una semplice struttura argomentativa: si parte dall’enunciazione dell’antitesi (“qualunque poeta dovrebbe usare il volgare illustre”) e si enunciano gli argomenti a favore di essa [2-3]. Le si contrappone poi la tesi, secondo cui il volgare illustre conviene solo agli argomenti più elevati e ai poeti più degni, e la si argomenta con una serie di sillogismi [4-8]. L’argomentazione fa perno sull’affermazione che i costumi dell’uomo (e anche la lingua che egli può e deve usare) gli convengono non in quanto tale, ma solo in virtù della propria individualità. Il volgare illustre, pertanto, non potrà essere adatto a tutti i poeti, ma solo a quelli che trattano gli argomenti più illustri.
Nella parte finale del capitolo, poi, si confutano gli argomenti a favore dell’antitesi [9-10], dimostrando che la forma illustre applicata a un oggetto vile, se a prima vista potrebbe apparire un ornamento, finisce in realtà per renderlo ancora più vile, determinando uno stridente effetto di contrasto (come avverrebbe se si vestisse una donna bruttissima di oro o di seta).
Il discorso di Dante, nel De vulgari eloquentia, si concentra soprattutto sugli argomenti poetici più elevati e sullo stile più alto. Ma è importante coglierne tutte le implicazioni: il principio del conveniens, come si applica agli argomenti più nobili, potrà applicarsi a quelli più bassi. L’ambito della poesia, cioè, non esclude affatto una varietà di temi, ma semplicemente impone di trattarli con varietà di stili. È questo un principio che il giovane Dante certamente conosceva, nel momento in cui affiancava alla poesia “seria” anche notevoli prove in stile comico [G18]. Ed è un principio che il Dante maturo saprà applicare, creando il capolavoro plurilinguistico della Divina commedia.




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