G28
Dante Alighieri
I quattro sensi delle scritture
Convivio II, 1

[Convivio, II, cap. 1] 1. Poi che proemialmente ragionando, me ministro, è lo mio pane ne lo precedente trattato con sufficienza preparato, lo tempo chiama e domanda la mia nave uscir di porto; per che, dirizzato l’artimone de la ragione a l’òra del mio desiderio, entro in pelago con isperanza di dolce cammino e di salutevole porto e laudabile ne la fine de la mia cena. Ma però che più profittabile sia questo mio cibo, prima che vegna la prima vivanda voglio mostrare come mangiare si dee1.
2. Dico che, sì come nel primo capitolo è narrato, questa sposizione conviene essere litterale e allegorica. E a ciò dare a intendere, si vuol sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi2. 3. L’uno si chiama litterale, [e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sono le favole de li poeti3. L’altro si chiama allegorico,] e questo è quello che si nasconde sotto ’l manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice Ovidio che Orfeo facea con la cetera mansuete le fiere, e li arbori e le pietre a sé muovere; che vuol dire che lo savio uomo con lo strumento de la sua voce fa[r]ia mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e fa[r]ia muovere a la sua volontade coloro che non hanno vita di scienza e d’arte: e coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre4. 4. E perché questo nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo trattato si mosterrà. Veramente li teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che mia intenzione è qui lo modo de li poeti seguitare, prendo lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato5.
5. Lo terzo senso si chiama morale, e questo è quello che li lettori deono intentamente andare appostando per le scritture, ad utilitade di loro e di loro discenti: sì come appostare si può ne lo Evangelio, quando Cristo salio lo monte per transfigurarsi, che de li dodici Apostoli menò seco li tre; in che moralmente si può intendere che a le secretissime cose noi dovemo avere poca compagnia6.
6. Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora [sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le superne cose de l’etternal gloria sì, come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che, ne l’uscita del popolo d’Israel d’Egitto, Giudea è fatta santa e libera7. 7. Ché avvegna essere vera secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s’intende, cioè che ne l’uscita de l’anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate8. 8. E in dimostrar questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello ne la cui sentenza li altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere a li altri, e massimamente a lo allegorico9. 9. È impossibile, però che in ciascuna cosa che ha dentro e di fuori, è impossibile venire al dentro se prima non si viene al di fuori: onde, con ciò sia cosa che ne le scritture [la litterale sentenza] sia sempre lo di fuori, impossibile è venire a l’altre, massimamente a l’allegorica, sanza prima venire a la litterale10.




1 Poi che… mangiare si dee: Dopo che, discutendo in sede di introduzione (proemialmente ragionando), nella quale io ho servito a tavola (me ministro, costruzione ricalcata sull’ablativo assoluto latino; il sostantivo «ministro» indica la persona incaricata di portare le vivande), il mio pane è stato adeguatamente preparato nel trattato precedente (si riferisce agli argomenti con cui il «pane» del commento è stato difeso dall’accusa di essere «di biado» [G25, G27]), il tempo chiama e ordina che la mia nave esca dal porto; per cui, drizzata la vela (artimone) della ragione al vento (òra, dal latino aura) del mio desiderio, entro in alto mare (pelago: cioè entro in argomento) con la speranza di <compiere> un dolce cammino e di <raggiungere> alla fine della mia cena un porto dove ci sia salvezza (salutevole) e che mi faccia meritare la lode (laudabile). Ma affinché (però che) si possa trarre maggior profitto da questo mio cibo, prima che sia servita (venga) la prima portata (vivanda, cioè la prima canzone) voglio mostrare come <la> si deve mangiare. Il capitolo introduttivo del secondo trattato, che sarà dedicato al commento della canzone Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete, si sofferma sul problema dell’interpretazione allegorica con cui Dante intende spiegare le sue poesie.

2 Dico che… per quattro sensi: Affermo che, come è stato detto nel primo capitolo [G22], è necessario (conviene) che questo commento (sposizione) sia letterale e allegorico. E per far comprendere (dare a intendere) ciò, bisogna (si vuol) sapere che le scritture si possono intendere e devono essere spiegate al massimo (massimamente) secondo quattro sensi. Con l’avverbio «massimamente» Dante precisa che non in tutte le «scritture» è possibile ritrovare tutti e quattro questi «sensi».

3 L’uno si chiama… dei poeti: Il primo <senso> si chiama letterale, e questo è quello che non va oltre il significato proprio (la lettera) delle parole inventate (fittizie), come sono le favole dei poeti. Il senso letterale è dunque il significato più elementare delle invenzioni poetiche; un significato che, preso alla lettera, va considerato falso («parole fittizie»).

4 L’altro… come pietre: L’altro <senso> si chiama allegorico, ed è questo il senso che si nasconde sotto l’apparenza esteriore (’l manto) di queste favole, ed è una verità nascosta sotto una piacevole finzione (bella menzogna); come quando Ovidio dice che Orfeo con la cetra rendeva (facea) mansuete le belve e <faceva> muovere verso di sé gli alberi e le pietre; il che significa che l’uomo saggio con lo strumento della sua voce potrebbe fare (faria) diventare mansueti (mansuescere) e fare diventare umili (umiliare) i cuori crudeli, e potrebbe far muovere secondo la sua volontà coloro che non hanno la vita <intellettuale> dovuta alla scienza e all’arte: e coloro che non hanno nessuna vita intellettuale guidata dalla ragione (vita ragionevole) sono quasi come pietre. Il senso allegorico, significato profondo delle favole poetiche (Dante fa qui riferimento all’XI libro delle Metamorfosi di Ovidio), possiede dunque una verità profonda che travalica il senso letterale (in sé falso).

5 E perché… è usato: E nel penultimo trattato si spiegherà per quale motivo da parte degli (per li; la preposizione «per» introduce un complemento di agente) uomini saggi (savi) sia stato inventato questo significato nascosto (questo nascondimento). Tuttavia (Veramente, con lo stesso significato del latino verum tamen) i teologi intendono il senso allegorico in modo diverso (altrimenti) dai poeti; ma poiché in quest’opera (qui) è mia intenzione seguire (seguitare) il modo <di intendere l’allegoria> dei poeti, considero (prendo) il senso allegorico come esso (secondo che) è usato dai (per li) poeti. Mentre nell’allegoria dei poeti la lettera è solo una «bella menzogna», nell’allegoria dei teologi (per esempio nel racconto della Bibbia) è vero anche il senso letterale. Dante precisa che, nella interpretazione delle canzoni inserite nel Convivio, si seguirà esclusivamente l’allegoria dei poeti.

6 Lo terzo senso… poca compagnia: Il terzo senso si chiama morale, e questo è quello che i lettori devono attentamente (intentamente) andare a cercare (andare appostando: il verbo “appostare” significa “dare la caccia”) nelle scritture, a vantaggio di se stessi e dei loro allievi (discenti); come <per esempio> si può andare a cercare nel Vangelo, quando <si racconta che> Cristo salì il monte per trasfigurarsi, <e si afferma> che dei dodici apostoli ne portò con sé tre (Pietro, Giacomo e Giovanni); nel quale racconto (in che) si può intendere in senso morale che nelle cose più segrete noi dobbiamo avere con noi una compagnia ristretta. Il senso morale è dunque l’insegnamento che si può trarre dalle scritture, per evincerne una regola di comportamento. L’esempio portato da Dante è un’allegoria dei teologi: infatti il racconto della Trasfigurazione di Cristo si deve considerare letteralmente vero, ma al tempo stesso è portatore di significati allegorici.

7 Lo quarto senso… santa e libera: Il quarto senso si chiama anagogico, cioè significato sovrapposto (sovrasenso); e questo si ha quando si spiega secondo il significato spirituale una scrittura la quale, sebbene (ancora) sia vera anche (eziandio) nel senso letterale, per quello che dice (per le cose significate) rappresenta (significa de) le cose divine (superne) della gloria eterna, come si può vedere in quel salmo (canto del Profeta; si tratta del Salmo 113) il quale dice che, con l’uscita del popolo di Israele dall’Egitto, la Giudea è divenuta (fatta) santa e libera. Il senso anagogico (dal greco anagoghikós, “che guida verso l’alto”) si applica solo all’allegoria dei teologi, che è vera anche letteralmente.

8 Ché avvegna… in sua potestate: Poiché, sebbene sia manifesto che <questa storia> è letteralmente vera, è altrettanto vero (non meno è vero) il significato che si deve intendere in senso spirituale, cioè che, con l’uscita dell’anima dal peccato, essa diviene santa e libera obbedendo solo a se stessa (in sua potestate). Il racconto biblico dell’Esodo costituisce il classico esempio di allegoria dei teologi: la sua verità storica è, per un cristiano medievale, del tutto evidente; ma al tempo stesso la vicenda rappresenta in senso «anagogico» i destini ultimi dell’anima.

9 E in dimostrar… a lo allegorico: E nello spiegare questo, deve essere sempre in primo piano (andare innanzi) <il senso> letterale, essendo (sì come) quello nel cui significato (sentenza) sono inclusi gli altri, e senza il quale sarebbe impossibile e irrazionale guardare (intendere) agli altri, e soprattutto a quello allegorico.

10 È impossibile… a la litterale: <Ciò> è impossibile perché, in ciascuna cosa che ha una parte esterna e una parte interna (dentro e di fuori), non è possibile penetrare all’interno se prima non si osserva l’esterno (non si viene al di fuori); per cui, poiché (con ciò sia cosa che) nelle scritture il significato letterale (la litterale sentenza) è sempre quello esterno, è impossibile arrivare a comprendere (venire a) gli altri significati, soprattutto quello allegorico, senza prima comprendere quello letterale.



All’inizio del Convivio Dante aveva avvertito che, nel corso dell’opera, sarebbe stata applicata alle sue poesie l’interpretazione allegorica [G22]. Adesso, apprestandosi a commentare la prima canzone, l’autore precisa il metodo interpretativo che intende seguire, soffermandosi sui diversi significati che è possibile attribuire ai testi letterari. Il discorso di Dante, però, verte più in generale sulle «scritture», termine con il quale si indicano tanto le opere poetiche quanto i testi sacri. La dottrina dell’interpretazione allegorica era stata infatti sviluppata dai padri della Chiesa (a partire da Girolamo e Agostino) e applicata inizialmente alla Bibbia; in seguito fu estesa anche ai classici, che con questo metodo potevano essere conciliati con il cristianesimo.
I possibili sensi elencati da Dante sono quattro: a quello letterale si aggiungono infatti il senso «allegorico», quello «morale» e quello «anagogico». Dante precisa però che i testi, sacri o profani, possono essere interpretati al massimo («massimamente») in quattro sensi. Ciò implica che non tutti i testi sono suscettibili di un’interpretazione così articolata. Nell’illustrare il senso allegorico Dante utilizza un esempio tratto dalla poesia di Ovidio (il mito di Orfeo che, con il suono della cetra, ammansiva le belve e muoveva le piante e le pietre [3]). Per esemplificare il senso morale e quello anagogico, invece, egli introduce due esempi tratti dalle Sacre Scritture [5, 6].
Va sottolineata una differenza fondamentale tra i due tipi di «scritture» esaminati da Dante. I testi poetici possono avere un significato vero soltanto in senso allegorico; il significato letterale sotto il quale questo messaggio è ammantato va sempre considerato falso (per esempio, che Orfeo muova le pietre e gli alberi con il suono della sua cetra è ovviamente una finzione). I testi sacri presentano anch’essi un significato vero in senso morale o anagogico. Ma, in più, essi devono essere considerati veri anche alla lettera. L’esodo del popolo d’Israele dall’Egitto, per esempio, è un fatto storico che i medievali consideravano realmente accaduto nei termini descritti dalla Bibbia. Esso, però, racchiude anche una verità relativa ai destini ultimi dell’anima, della quale rappresenta la liberazione dal peccato [6].
Sulla base della verità o della falsità del senso letterale, si possono dunque distinguere due tipi di allegoria: una allegoria dei poeti e una allegoria dei teologi. Dante chiarisce con precisione che, nel corso del Convivio, utilizzerà esclusivamente l’interpretazione propria dell’allegoria dei poeti (alla lettera, dunque, le sue canzoni vanno considerate delle finzioni [4]).
Quanto detto finora, tuttavia, non esaurisce la complessa teorizzazione dantesca sull’allegoria. Dopo la stesura della Commedia, infatti, il poeta tornerà sull’argomento con un’epistola indirizzata a Cangrande della Scala [G33]; in essa verrà proposta per il poema un’interpretazione basata non più sull’allegoria dei poeti ma su quella dei teologi. La Commedia, stando a quanto ci dirà Dante, non va considerata semplicemente come una «bella menzogna», ma andrà letta con strumenti intepretativi simili a quelli che si applicano alle Sacre Scritture. Una novità, questa, che ha straordinarie implicazioni sull’interpretazione complessiva del poema, e che sarà possibile chiarire solo approfondendo lo studio del capolavoro.




print

print