G25
Dante Alighieri
La scelta del volgare
Convivio I, 10

[Convivio, I cap. 10] 1. Grande vuole essere la scusa, quando a così nobile convivio per le sue vivande, a così onorevole per li suoi convitati, s’appone pane di biado e non di frumento; e vuole essere evidente ragione che partire faccia l’uomo da quello che per li altri è stato servato lungamente, sì come di comentare con latino1. 2. E però vuole essere manifesta la ragione, che de le nuove cose lo fine non è certo; acciò che la esperienza non è mai avuta onde le cose usate e servate sono e nel processo e nel fine commisurate2. 3. Però si mosse la Ragione a comandare che l’uomo avesse diligente riguardo ad entrare nel nuovo cammino, dicendo che «ne lo statuire le nuove cose evidente ragione dee essere quella che partire ne faccia da quello che lungamente è usato»3. […]

[4-10: Dante afferma di aver scelto il volgare per tre ragioni: a) per renderlo grande («per magnificare lui»), consentendogli per la prima volta di esprimere alti argomenti; b) «per gelosia di lui», ossia per evitare che, qualora egli avesse scritto in latino il commento alle sue canzoni, qualcun altro lo traducesse in un volgare di scarso pregio stilistico; c) per difendere il volgare dai suoi detrattori].

11.
Mossimi ancora per difendere lui da molti suoi accusatori, li quali dispregiano esso e commendano li altri, massimamente quello di lingua d’oco, dicendo che è più bello e migliore quello che questo; partendose in ciò da la veritade4. 12. Ché per questo comento la gran bontade del volgare di sì [si vedrà]; però che si vedrà la sua vertù, sì com’è per esso altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso latino, manifestare; [la quale non si potea bene manifestare] ne le cose rimate, per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima e lo ri[tm]o e lo numero regolato5: sì come non si può bene manifestare la bellezza d’una donna, quando li adornamenti de l’azzimare e de le vestimenta la fanno più ammirare che essa medesima6. 13. Onde chi vuole ben giudicare d’una donna, guardi quella quando solo sua naturale bellezza si sta con lei, da tutto accidentale adornamento discompagnata: sì come sarà questo comento, nel quale si vedrà l’agevolezza de le sue sillabe, le proprietadi de le sue co[stru]zioni e le soavi orazioni che di lui si fanno; le quali chi bene agguarderà, vedrà essere piene di dolcissima e d’amabilissima bellezza7. 14. Ma però che virtuosissimo è ne la ’ntenzione mostrare lo difetto e la malizia de lo accusatore, dirò, a confusione di coloro che accusano la italica loquela, perché a ciò fare si muovono; e di ciò farò al presente speziale capitolo, perché più notevole sia la loro infamia8.




1 Grande vuole essere… con latino: È necessario che ci sia una valida giustificazione (Grande vuole essere la scusa), quando a un banchetto così nobile per le sue vivande, così onorevole per i suoi convitati, si serve (appone) pane di biada e non di frumento (cioè un pane di qualità meno pregiata; il «biado» designa metaforicamente il commento in volgare, mentre il «frumento» indica quello in latino); e ci deve essere una evidente ragione che faccia allontanare (partire) qualcuno (l’uomo) da quell’<uso> che da parte degli altri (per li altri) è stato tramandato (servato) a lungo, cioè (sì come) di scrivere i commenti <ai testi poetici> in latino.

2 E però… commisurate: E la ragione deve essere manifesta per questo motivo (però, con funzione prolettica), che l’esito delle innovazioni (de le nuove cose lo fine) non è certo; poiché (acciò che) non si è mai avuta <riguardo alle cose nuove> quell’esperienza in base alla quale (onde) le cose divenute consuete (usate) e tramandate (servate) presentano una corrispondenza tra il loro procedimento e il loro scopo (sono e nel processo e nel fine commisurate). In altre parole, mentre le validità delle scelte basate sulla consuetudine è dimostrata dall’esperienza, la necessità di introdurre innovazioni deve essere argomentata sapientemente.

3 Però si mosse… è usato: Perciò il diritto romano (la Ragione, dal latino ratio) fu indotto (si mosse) a comandare che si usasse attenzione e prudenza (che l’uomo avesse diligente riguardo; il sostantivo «l’uomo» è usato per costruire le frasi impersonali, sul modello del francese on) prima di intraprendere una nuova strada (cammino), affermando che «nell’istituire novità deve essere evidente il motivo che ci faccia allontanare (partire) dalla consuetudine che si è lungamente osservata». Il passo riportato tra virgolette è la traduzione di un brano attribuito al giurista Ulpiano.

4 Mossimi ancora… da la veritade: Fui indotto (Mossimi) inoltre (ancora) a difendere lui (cioè il volgare) da molti suoi accusatori, i quali lo disprezzano, e lodano (commendano) gli altri, soprattutto il volgare d’oc, affermando che esso (quello) è più bello, e migliore, del volgare italiano (questo); allontanandosi (partendose) in questa affermazione (in ciò) dalla verità.

5 Ché per questo comento… numero regolato: Poiché per mezzo di (per) questo commento si potrà vedere la elevata qualità (gran bontade) del volgare del sì; poiché (però che) si potrà vedere la sua capacità espressiva (vertù), in quanto (sì com’) è possibile per questo volgare (è per esso) esprimere (manifestare) concetti difficilissimi e del tutto nuovi in modo conveniente, sufficiente e appropriato; questa capacità espressiva (la quale, riferito a «vertù») non si poteva manifestare in poesia (ne le cose rimate) a causa degli abbellimenti esteriori (per le accidentali adornezze; l’aggettivo «accidentale» fa riferimento ad Aristotele, che contrappone le proprietà accidentali, cioè non derivanti dalla natura di un essere, a quelle sostanziali) che ad essa (quivi, riferito alle «cose rimate») sono connesse, ossia la rima, il ritmo e la prosodia (lo numero regolato).

6 sì come… medesima: così come non si può bene manifestare la bellezza di una donna quanto gli ornamenti dell’agghindarsi e del vestirsi (de l’azzimare e de le vestimenta) la fanno ammirare più delle sue qualità intrinseche (che essa medesima). Il pregio intrinseco del volgare non si può cioè manifestare in poesia, dove sono in primo piano gli abbellimenti esteriori.

7 Onde chi vuole… bellezza: Per cui (Onde) chi vuole giudicare correttamente una donna, la guardi quando insieme ad essa c’è solo la sua bellezza, separata (discompagnata) da ogni ornamento esteriore (accidentale); come avverrà in questo commento, in cui si vedranno la scorrevolezza (agevolezza) delle sue sillabe, la proprietà dei suoi costrutti sintattici (costruzioni) e i gradevoli discorsi (soavi orazioni) che con esso (di lui) si fanno; cose che (le quali), se si osserverà bene (chi bene agguarderà), si vedrà che sono piene di dolcissima e amabilissima bellezza.

8 Ma però che… infamia: Ma poiché (però che) è cosa molto efficace (virtuosissimo è) smascherare nelle sue intenzioni il difetto e la cattiveria di chi accusa <il volgare>, dirò, a confutazione (confusione) di coloro che accusano la lingua (loquela) italiana, per quale motivo sono indotti a fare ciò (a ciò fare si muovono); e su questo argomento (di ciò) farò subito un capitolo speciale, perché sia più evidente la loro infamia. Dante attribuisce l’atteggiamento di quei letterati che disprezzano il proprio volgare a indegnità morale e cattiveria [G26].



La trattazione del problema della lingua, centrale nel primo trattato del Convivio, viene svolta da Dante sotto diversi profili. Nei capitoli precedenti egli ha sottolineato il nesso esistente tra questione linguistica e funzione etico-politica della letteratura [G24]. Nelle pagine successive a questo capitolo si soffermerà polemicamente sulle ragioni che inducono molti letterati ad opporsi all’adozione del volgare (e che discendono, per lo più, da atteggiamenti moralmente riprovevoli) [G26]. In questo capitolo, invece, la scelta del volgare viene rivendicata soprattutto da un punto di vista tecnico.
Il capitolo si apre su un’apologia del proprio operato: l’autore sa che gli verrà rivolta l’accusa di avere servito a tavola pane di scarsa qualità (continua, quindi, la metafora del banchetto introdotta fin dalle prime pagine del trattato [G22]), e rimarca – richiamando l’autorità del diritto romano – il fatto che, quando ci si allontana dalla tradizione, è necessario avere dalla propria parte solide ragioni. L’insistenza con cui Dante espone gli argomenti contrari alla propria tesi (sottolineata dal ricorrere, nel primo capoverso, di parole chiave come «nuove cose» e «ragione», nonché dall’anafora: «E però» [2], «Però» [3]) prepara il dispiegarsi della sua argomentazione. Dapprima (nella parte che abbiamo omesso), Dante espone “in positivo” le ragioni che lo hanno portato a scegliere il volgare (il desiderio di dimostrarne l’eccellenza, unito al timore che altri potesse tradurre dal latino la sua opera con esiti stilistici non soddisfacenti). Quindi torna all’argomentazione “difensiva”, confutando le accuse di quanti ritengono il volgare italiano inferiore alle lingue d’oc e d’oïl. Dante rivendica la capacità espressiva della sua lingua materna, che gli appare matura per esprimere concetti alti e difficili, allo stesso livello del latino; è necessario però, perché tale potenzialità si possa esprimere, rinunciare alle «accidentali adornezze» della poesia. Solo in questo modo si potrà sfruttare appieno la bellezza della lingua (paragonata alla bellezza di una donna, che dipende dalla sua persona e non dai suoi abiti [13]). In realtà l’argomentazione di Dante non risulta, sul piano tecnico, particolarmente approfondita: essa si vale, infatti, di criteri basati su giudizi di gusto («agevolezza» delle sillabe, «proprietadi» dei costrutti e «soavi orazioni» che il volgare rende possibili), che non sono rigorosamente definiti e possono apparire ingenui a una moderna sensibilità linguistica. Sull’aspetto tecnico della scelta del volgare, del resto, Dante avvertirà la necessità di un approfondimento maggiore quando, interrompendo la stesura del Convivio, deciderà di affrontare il problema in un’opera autonoma (il De vulgari eloquentia). Nel primo trattato del Convivio invece la riflessione tecnica è destinata a lasciare il campo ad una polemica di ordine più generale [G26]; una polemica che dimostra, del resto, come in Dante sia sempre presente un nesso organico tra il problema linguistico e la dimensione etico-politica in cui si colloca la sua opera.




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