AGOSTINO DI IPPONA
A2 - I peccati e la miseria della condizione umana
De civitate Dei, XXII, 22
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1. Che tutta la progenie dei mortali sia condannata fin dall’origine1 ce lo prova questa stessa vita, se vita si deve chiamare, piena di tanti e così grandi mali. Cos’altro ci dimostra la profonda, orrenda ignoranza, da cui nascono tutti gli errori che trascinano in un tenebroso abisso tutti i figli di Adamo, e dai quali l’uomo non può liberarsi senza fatica, dolore e paura? Cosa ci dice lo stesso amore per tante cose vane e nocive e, derivate da esso, le pene acerbe, le preoccupazioni, le tristezze, le paure, le false gioie, le discordie, le liti, le guerre, le insidie, le collere, le inimicizie, l’inganno, l’adulazione, la frode, il furto, la rapina, la perfidia, la superbia, l’ambizione, l’invidia, gli omicidi, i parricidi2, la crudeltà, l’inumanità, la nequizia, la lussuria, la petulanza, l’impudenza, l’impudicizia, le fornicazioni, gli adulteri, gli incesti e tanti stupri e cose immonde – peccati contro natura di entrambi i sessi – che è vergognoso perfino nominare, i sacrilegi, le eresie, le bestemmie, gli spergiuri, l’oppressione degli innocenti, le calunnie, i raggiri, le prevaricazioni, le false testimonianze, i giudizi ingiusti, le violenze, i latrocini e tutti quei mali simili che non vengono in mente e tuttavia non mancano mai in codesta vita degli uomini? Certo, queste sono azioni di uomini malvagi, ma hanno la loro radice nell’errore e nel disordinato amore con cui nasce ogni figlio di Adamo3. E chi non sa con quanta ignoranza della verità, manifesta fin dall’infanzia, con quanta abbondanza di vana cupidigia, che comincia ad apparire nei fanciulli, l’uomo venga in questa vita? Tant’è vero che, se lo si lasciasse vivere come vuole e se lo si lasciasse fare tutto ciò che vuole, incorrerebbe in tutti, o in quasi tutti, i delitti e le vergogne che prima ho elencato e in quelli che non ho potuto elencare. […]
2. Da questa misera vita, che è quasi un inferno, può liberarci solo la grazia di Cristo Salvatore, nostro Dio e Signore (questo infatti vuol dire lo stesso nome di Gesù, che significa appunto “Salvatore”), soprattutto facendo in modo che, dopo questa, non cadiamo per l’eternità in un’altra e più misera esistenza, che non è vita, ma morte. Per quanti possano essere, in questa vita, i sollievi che riceviamo per intercessione dei santi e per mezzo delle cose sante, tuttavia non sempre chi chiede un beneficio lo riceve. Ciò avviene per far sì che non si abbracci la religione in vista di questi benefici4; essa dev’essere abbracciata piuttosto in vista dell’altra vita, dove non ci sarà alcun male5. E la Grazia aiuta le persone migliori in questo genere di mali6 affinché li sopportino con cuore più fedele e più forte7.

1 fin dall’origine: la predisposizione al male della natura umana deriva dal peccato originale.

2 parricidi: il termine indica, in senso proprio, l’uccisione del padre o, più genericamente, l’uccisione di un proprio familiare.

3 Certo… Adamo: i peccati prima enumerati sono commessi da uomini malvagi, ma derivano tutti dalla naturale predisposizione al male comune a tutti gli uomini, che si manifesta nella loro ignoranza (errore) e nella tendenza a rivolgere il proprio amore verso falsi oggetti, anziché verso Dio (disordinato amore). L’«amore» è «disordinato» perché dopo il peccato originale non è più orientato verso il Creatore, ma verso le creature.

4 Ciò avviene… benefici: il fatto che le preghiere non vengano sempre esaudite si spiega con la volontà della Provvidenza, che non vuole che la fede sia abbracciata con finalità utilitaristiche.

5 altra vita… alcun male: la vita eterna del Paradiso.

6 in questo genere di mali: nei mali di cui si soffre nella vita.

7 E la grazia… più forte: i mali della vita terrena devono essere sopportati in vista della vita eterna.


A2 - Analisi del testo
Questo capitolo del De civitate Dei si inserisce nel filone del contemptus mundi (disprezzo del mondo), tema assai diffuso nel Medioevo e che troverà, molti secoli dopo Agostino, la sua canonica formulazione nell’opera di papa Innocenzo III.
La pagina è costruita sull’alternanza tra enunciati assertivi e interrogative retoriche (1), una delle quali si espande per contenere un lunghissimo, ma pur sempre incompleto, elenco dei peccati e delle miserie umane. Forte è l’insistenza sulla connessione di questi mali con la caduta dell’uomo in seguito al peccato originale: il riferimento iniziale a una condanna insita «fin dall’origine» nella natura umana è sottolineato dalla ricorrente designazione dell’uomo come «figlio di Adamo» e rafforzato dalla considerazione che neanche l’età infantile può ritenersi innocente; in essa, anzi, si scorge assai presto la propensione al male («ignoranza della verità, manifesta fin dall’infanzia»; «abbondanza di vana cupidigia, che comincia ad apparire nei fanciulli»), a riprova della naturale bassezza dell’umana condizione.
Al radicale pessimismo con cui è descritta la natura umana si contrappone però un’altra realtà dominata dalla Grazia, nella quale opera un disegno provvidenziale capace perfino di spiegare la presenza del male nel mondo. Il messaggio quindi non è di natura completamente pessimistica, anzi è funzionale a un annuncio di salvezza: attraverso la fede in una realtà ultraterrena l’uomo si riscatta e dà un nuovo senso e valore alla vita terrena. I mali quindi si devono sopportare con «cuore più fedele e più forte», perché sono il mezzo con cui l’uomo può redimersi dal peccato e conquistare la vera vita. Spesso Dio non esaudisce le preghiere degli uomini per evitare che essi abbraccino la fede strumentalmente, al solo scopo di ottenere un’utilità pratica in questa vita (la concezione utilitaristica della religione era tipica del paganesimo contro cui Agostino combatte). La contrapposizione tra queste due dimensioni – quella del peccato e quella della Grazia – facilmente riscontrabile nel capitolo, riflette la struttura di fondo del De civitate Dei. L’opera è infatti costruita sull’opposizione tra una «città terrena», che ha di mira solo il benessere temporale, e una «città di Dio» che aspira a una pace eterna e immutabile. La storia umana, iniziata con il peccato originale, si chiuderà alla fine dei tempi con il trionfo della «città di Dio».
È interessante soffermarsi sul concetto di male rappresentato dalle «discordie, liti, guerre ed insidie». Già nel cap. XIX Agostino aveva trattato il tema delle guerre e dei conflitti, introducendo il concetto di pace. Le guerre ed i conflitti sono propri della città terrena in quanto l’uomo, dopo il peccato originale, ha perduto la sua armonia: la ricerca dei tale armonia perduta, e quindi della pace, permette comunque di mostrare che le due città, pur muovendosi in direzioni e secondo fini opposti, si incontrano e si confondono sul piano della storia e dell’ordine mondano. Il buon cristiano pertanto deve adoperarsi per ottenere la pace temporale, sebbene questa sia gerarchicamente subordinata alla pace celeste: i cittadini della città celeste non ameranno la pace terrena, che è illusoria ed apparente, ma se ne serviranno. La legge e lo Stato sono gli strumenti con cui la città terrena mira alla propria pace, sono cioè i modi di preservazione di un ordine terreno: il cristiano deve obbedire alle leggi dello Stato. Il concetto classico di politica viene trasformato: da campo di azione dell’uomo, con un fine autonomo di armonia e giustizia, la politica diviene strumento per una parziale e provvisoria sistemazione dell’ordine terreno, subordinato all’ordine celeste.